Il Sole 24 Ore, 21 novembre 2017
Chiude il tribunale dei crimini nella ex Jugoslavia
È iniziato il conto alla rovescia che porterà alla chiusura del Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. A fine novembre, il Tribunale, il primo organo giurisdizionale internazionale dopo Norimberga, chiamato a processare gli autori di crimini di guerra, contro l’umanità e genocidio commessi durante il conflitto nell’ex Jugoslavia, chiuderà i battenti. Ma lascerà un’eredità preziosa e un preciso monito: gli autori di crimini efferati e di gravi e massicce violazioni del diritto internazionale umanitario, anche se capi di Stato, non godono dell’immunità e tanto meno dell’impunità. Prima della chiusura definitiva i giudici internazionali pronunceranno due sentenze: il 22 è atteso il verdetto su Mladic, accusato per l’assedio e il massacro di Srebrenica e il 29 la Camera di appello si pronuncerà sul caso Prlic. A chiudere, poi, le ultime attività del Tribunale ci penserà un Meccanismo residuale voluto dall’Onu.
Istituito dal Consiglio di sicurezza con la risoluzione n. 808 del 22 febbraio 1993, il Tribunale, con sede all’Aja (Olanda), è sorto come risposta alle gravi violazioni del diritto internazionale umanitario commesse nel territorio dell’ex Jugoslavia dal 1991 in poi. Gli orrori di quel conflitto, i campi di concentramento con individui torturati e affamati, le deportazioni, le donne stuprate, i cecchini, gli stermini della popolazione civile, comparsi nuovamente nel cuore dell’Europa, hanno spinto, in quegli anni, la comunità internazionale a trovare un’intesa per l’istituzione di un organo giurisdizionale internazionale che procedesse a punire gli autori di crimini. Anche perché le vittime dirette, le madri dei tanti giovani sterminati a Srebrenica, dovevano avere una risposta e ottenere giustizia. Ma il Tribunale aveva anche un’altra funzione: portare la pace attraverso la giustizia, missione compiuta visto che, dopo il Kosovo, i Balcani sono ormai pacificati e molti Stati sorti dalla dissoluzione dell’ex Jugoslavia e coinvolti nel conflitto bussano alle porte dell’Unione europea, dopo l’ingresso della Croazia.
Sono stati 161 gli imputati accusati di crimini e per ben 154 sono stati conclusi i processi. 83 le sentenze: 56 condannati hanno già scontato la pena, 8 sono morti, 19 sono stati assolti. Tra i condannati “illustri” Karadzic, il leader serbo che, dopo dodici anni di latitanza, fu arrestato e condannato a 40 anni di carcere per il genocidio di Srebrenica. Prima di lui, Slobodan Milosevic, il primo capo di Stato in carica ad essere processato dinanzi a un tribunale internazionale, portato alla sbarra dal Procuratore Carla Del Ponte, morto prima della fine del processo anche se, grazie alle prove raccolte molti dei fatti da lui commessi sono comunque venuti a galla.
Di quei processi, che hanno permesso di squarciare le zone d’ombra del conflitto, non restano solo le sentenze, ma un patrimonio costituito da un archivio in cui è possibile rintracciare le registrazioni delle udienze e, soprattutto, le testimonianze delle vittime che hanno raccontato gli orrori subiti. È grazie al Tribunale per l’ex Jugoslavia che le madri di Srebrenica hanno ottenuto un verdetto che ha riconosciuto che nell’enclave bosniaca in cui sono morte 8mila persone è stato commesso un vero e proprio genocidio. Ed è sempre grazie alle sentenze del Tribunale che è stato possibile scrivere la storia di quel conflitto.
Tutto nel rispetto delle regole sull’equo processo. E dell’imparzialità dei giudici. Agli imputati è stato garantito ogni strumento utile per la difesa ed è stato assicurato il principio del contraddittorio. Un balzo in avanti notevole rispetto a Norimberga e il definitivo abbandono di una giustizia dei vincitori sui vinti. Rilevante anche il contributo dell’Italia: il primo Presidente del Tribunale è stato il professore Antonio Cassese a cui è seguito, dopo qualche anno, il giurista Fausto Pocar.
Il Tribunale, malgrado alcuni aspetti negativi come la durata eccessiva di alcuni processi e gli alti costi legati al suo funzionamento, ha poi lasciato una grande eredità. Il patrimonio di principi di diritto internazionale umanitario e della giustizia penale internazionale affermati nel corso degli anni nelle proprie aule di giustizia, anche per individuare gli elementi costitutivi di crimini come tortura, stupro, genocidio. Un modello che ha fatto scuola, seppure tra luci e ombre. Dopo il Tribunale per l’ex Jugoslavia, è stata la volta di quello per i crimini commessi in Ruanda (chiuso da qualche anno). Poi, tra i più importanti, il Tribunale misto per la Sierra Leone frutto di un accordo del 2002 tra Governo di Freetown e Nazioni Unite che ha portato alla condanna dell’ex presidente Charles Taylor accusato di aver reclutato bambini soldato; le Camere straordinarie per la repressione dei crimini commessi dai Khmer rossi in Cambogia. Senza il Tribunale per l’ex Jugoslavia, poi, non ci sarebbe mai stata la Corte penale internazionale istituita nel 1998 e operativa dal 2002 che, però, si muove con molta più difficoltà.
Una proliferazione che, in ogni caso, è positiva perché ha scardinato il principio dell’esclusiva competenza degli organi giurisdizionali statali in materia penale.