il Fatto Quotidiano, 21 novembre 2017
Francesco Rutelli, il non immediato causa del renzismo
Francesco Rutelli è un uomo felice. È stato vicepresidente del Consiglio e ministro, ha cofondato il Partito democratico europeo, è stato il candidato (sconfitto) del centrosinistra nel 2001. Segretario del Partito Radicale, fondatore dei Verdi Arcobaleno. Due volte sindaco di Roma, Giubileo compreso. Oggi è presidente di Anica. Si è laureato a 63 anni. Ogni tanto va in tivù a dare ai politici, e più ancora agli elettori, quel che andrebbe fatto. E poi scrive libri. L’ultimo, edito da La nave di Teseo, si intitola Contro gli immediati. È un buon libro, in alcuni casi ottimo. La cosa non stupisce: Rutelli è uomo intelligente, affabile e furbo. Il suo garbato j’accuse agli “immediati”, ovvero quella galassia di persone convinte che basti una semplificazione a casaccio o un tweet d’effetto per risolvere i problemi del mondo, è pressoché inattaccabile. Mai come adesso siamo travolti dal pensiero debole. Il punto è che gli “immediati” hanno preso il potere (e l’opposizione) grazie – o per colpa – dei “non immediati” come Rutelli, il cui fallimento ha aperto le porte alla pietosa “classe dirigente” di oggi. Rutelli se la prende con chi parla per slogan, ma sa fin troppo bene che i Renzi sono anche colpa sua. Sua e di chi c’era con lui. Fa poi sorridere – si fa per dire – che Rutelli attacchi gli immediati, salvo poi ogni volta dirci che bisogna votare Renzi altrimenti moriremo tutti. Da una parte fa la radiografia di ciò lo indigna, e quella radiografia sembra il ritratto del renzismo; ma dall’altra straparla di “voto utile” e “meno peggio”, laddove – per lui – il meno peggio coinciderebbe con le Picierno & Nardella.
Cosa ci ricordiamo, oggi, della sua lunga parabola politica? Non molto, e anche in questo risiede il fallimento dei “non immediati”. La caricatura di Corrado Guzzanti (“Ricordati degli amici, Silvio”). Il caso Lusi, da cui è uscito – come Fini, a cui somiglia – incarnando la figura del politico “bischero ma onesto”. Il surreale “pane e cicoria”, il suo inglese maccheronico. Il portale turistico – non proprio di successo – Italia.it. La faccia che aveva quando Nanni Moretti zimbellò i potenti di centrosinistra a Piazza Navona. E poi quel suo saper perdere da solo, ovvero contro Alemanno. Certo, Rutelli non è solo questo. È stato ad esempio un buon sindaco di Roma, anche se viene da pensare che i disastri di oggi siano forse anche figli di certe gestioni passate sin troppo sbarazzine. Pure la sua posizione su Ostia, secondo cui la colpa sembra essere più di chi ha girato Suburra che non di chi (su tutti il Pd) non si è accorto di quanto succedesse nel X Municipio, è discutibile. Come lo è quel suo approdo, tipico di quasi tutti gli ex radicali, da anticlericale a baciapile (Rutelli è oggi timido su eutanasia e testamento biologico). Sentirlo parlare oggi dei “buoni risultati grazie ad Alfano e Verdini” (giovedì scorso a Otto e mezzo) suona appena raggelante. Ci ha pure regalato, in qualità di “Rutelli Boys”, eminenti statisti come Gentiloni, Giachetti, Filippo Sensi (aiuto) e Michele Anzaldi (mamma mia). Eppure Rutelli, quando può, ci dice cosa dovremmo fare. E come lui i Prodi, i Fassino, i Veltroni, i Fini, i Casini. Per carità: possono farlo, e del resto chiunque è migliore dei Genny Migliore. I “non immediati” come Rutelli dovrebbero però capire una volta per tutte che non hanno più alcuna incidenza politica sull’elettorato. Chi si ricorda di loro non li ascolta più e chi non ha avuto modo di vederli all’opera se ne frega di quel che dicono: le loro parole, talora ispirate e talora proprio no, le porta via il vento.