Il Sole 24 Ore, 21 novembre 2017
Su Brexit Theresa May è pronta a pagare il conto
Theresa May è pronta a pagare il “conto del divorzio”. La premier britannica ha chiesto ieri ai suoi ministri il via libera per aumentare la cifra che Londra è disposta a pagare all’Unione Europea per sbloccare i negoziati.
«Ho dichiarato nel mio discorso di Firenze che siamo pronti a onorare i nostri impegni e quindi lo faremo – ha detto ieri la May. – Sono stata molto chiara, e ho detto che per quanto riguarda il budget attuale nessun Paese europeo deve temere di ricevere meno o di pagare di più a causa dell’uscita della Gran Bretagna dalla Ue». Il Governo non ha voluto precisare le cifre, ma secondo indiscrezioni sarebbe disposto a versare intorno ai 40 miliardi di euro, il doppio di quanto offerto finora da Londra, accorciando il divario con gli almeno 60 miliardi richiesti dalla Ue.
«È un momento di svolta – ha detto Philip Hammond, cancelliere dello Scacchiere. – Siamo in procinto di fare dei seri passi avanti nei nostri negoziati con la Ue per sbloccare la situazione di stallo». Il Governo resta diviso su ogni aspetto di Brexit, ma sembra che la May, assieme al fronte più filo-europeo che comprende Hammond, il ministro dell’Interno Amber Rudd e quello del Business Greg Clark, sia riuscita a vincere le resistenze del fronte pro-Brexit, guidato dal ministro degli Esteri Boris Johnson e dal ministro per l’uscita dalla Ue David Davis.
Il fronte pro-Brexit non vuole fare concessioni a Bruxelles, ma ha fretta di passare alla fase successiva dei negoziati e iniziare a definire i futuri rapporti commerciali tra la Gran Bretagna e la Ue. È questa la “carota” che ha permesso alla May di convincere i suoi recalcitranti ministri in vista del cruciale summit europeo di dicembre. Il tempo stringe, ha detto la premier ai suoi ministri, e senza una mossa decisa da parte britannica entro pochi giorni, i 27 Paesi Ue potrebbero decidere che non sono stati fatti abbastanza progressi da passare alla seconda fase.
Le divisioni restano: Davis insiste sul fatto che Londra non deve concedere troppi soldi per avere «una cartuccia in canna» nei negoziati futuri, mentre Johnson ha chiesto che l’accordo finanziario debba essere accompagnato da chiare clausole su «cosa esattamente la Gran Bretagna otterrà in cambio».
All’interno del partito conservatore intanto monta la rivolta contro quello che gli oltranzisti anti-Brexit definiscono «il riscatto» chiesto da Bruxelles. «Il Governo non si può permettere di fare Babbo Natale regalando miliardi di sterline alla Ue, – ha dichiarato ieri il deputato conservatore Nigel Evans. – Dobbiamo pagare gli stipendi delle infermiere del servizio sanitario nazionale, non dei burocrati di Bruxelles».
Se la May riuscirà, come sembra, a far passare il conto del divorzio, sarebbe un passo decisivo per superare il maggiore ostacolo nei negoziati tra Londra e Bruxelles. Restano però le altre due questioni-chiave: quella dei diritti dei cittadini, sulla quale c’è un’intesa di massima, e quella assai più complessa del confine tra le due Irlande.
Il negoziatore capo Ue, Michel Barnier, ha dichiarato che Londra deve avanzare proposte concrete su come risolvere la questione, evitando un ritorno del confine tra la repubblica irlandese e l’Irlanda del Nord. Dublino ha minacciato di imporre il veto a un’intesa al summit europeo se non ci sarà una garanzia formale scritta in tal senso. In un discorso a Bruxelles, Barnier ha anche avvertito ieri che non ci sono scorciatoie per Londra: «La realtà è che la Gran Bretagna perderà i benefici del mercato unico» ha detto, e banche e istituti finanziari perderanno il “passaporto” che permette loro di operare in tutti i Paesi Ue da Londra.
La Ue è pronta a offrire a Londra la partnership commerciale «più ambiziosa possibile», ha detto Barnier, ma non intende accettare compromessi: «La Gran Bretagna vuole restare vicina al modello europeo o vuole gradualmente distaccarsene? La risposta britannica a questa domanda sarà importante e anche decisiva, perché da essa dipenderanno le discussioni sui rapporti futuri».