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 2017  novembre 19 Domenica calendario

Allarme Tevere, in 250 mila sono a rischio allagamento

Merito a Padellaro per aver riaperto il caso Tevere, il più antico e dimenticato monumento di Roma al quale servono cure immediate, manutenzioni urgenti, opere strutturali e di “contratto di fiume” per il recupero di naturalità e di sicurezza idraulica. L’approccio definito nelle ultime settimane con la sindaca Raggi, la Regione e altri enti e soggetti può e deve mettere fine a troppi anni di inaccettabile incuria, a clamorosi e mai sciolti equivoci sulle competenze, a ritardi e omissioni.
Eppure il corpo a corpo con le alluvioni è storia antica e recente per un fiume che può balzare a livelli imprevedibili nel tempo in cui i cambiamenti climatici con piogge a carattere esplosivo fanno saltare i classici tempi di ritorno delle piene. La selvaggia devastazione di tratti del percorso urbano fino al suo delta reso irriconoscibile da decenni di folle urbanizzazione e abusivismo su aree demaniali e golenali è avvenuta senza freni né sistemi di difesa. Una prima analisi dei 55 km da Castel Giubileo alla foce di Fiumara Grande mostra 120 ettari di golene su 1150 cementificate, 9 km di sponde ricoperte da vegetazione infestante con tronchi pronti a far da tappo in caso di piena, 2.7 km di banchine con smottamenti, 59 installazioni galleggianti di cui poche in regola e con ormeggi adeguati, relitti arrugginiti e affioranti abbandonati, scarichi abusivi. Se i livelli di ogni piena sono tante lezioni segnalate da 90 ‘manine’ e lapidi di marmo murate sulle facciate del centro storico, fu una delle più tragiche, il 28 dicembre 1870, a provocare una mezza rivolta guidata da Giuseppe Garibaldi per mettere fine a 2000 anni di condanna agli allagamenti. Da deputato chiese al giovane Parlamento di aprire i cantieri per la sicurezza del Tevere e di considerarli di pubblica e urgente utilità. Tutti d’accordo ma passarono cinque anni di nulla e il 26 maggio 1875 radunò una folla di romani e si scagliò contro chi frenava le opere. Solo allora fu scelto il progetto Canevari per gli alti Muraglioni di travertino che vediamo oggi.
La loro costruzione durò circa mezzo secolo, conclusa nel 1926. Il sistema però entrò in crisi con portate da 3.300 m³ al secondo nella piena del 28 dicembre 1937 che allagò Roma e la campagna oggi città. Ai Muraglioni si aggiunsero poi le dighe idroelettriche di Corbara (1962) e Alviano (1964), le traverse di Castel Giubileo (1952), Nazzano (1956) e Ponte Felice (1961). E oggi? I problemi sono gravi come hanno dimostrato le piene dell’11 dicembre 2008, del novembre 2012 e del gennaio 2014 con zone sott’acqua già a 1800 mc al secondo. Ben 1.135 ettari di territorio urbano, dove vivono e lavorano circa 250.000 persone, sono a rischio, la più elevata esposizione d’Europa. Roma ha zone che non reggono un acquazzone come abbiamo visto il 10 settembre e il 5 novembre scorsi, piste di Fiumicino comprese. Inutile stupirsi quando il sistema fognario è in parte ostruito e sono tombati da rifiuti e vegetazione spontanea ben 700 km di vie d’acqua tributarie del Tevere e dell’Aniene.
Che fare? Rimboccarsi le maniche e lavorare con tempi da protezione civile con la massima collaborazione di tutta la filiera istituzionale e delle associazioni e al di là delle beghe politiche. È con questo format che proviamo a sbloccare progetti urgenti come l’opera maxima ferma dal 1983 per contenere 40 milioni di mc di acqua di piena tra Lazio e Umbria, acceleriamo la progettazione di 46 opere idrauliche e il recupero della qualità del fiume.