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 2017  novembre 19 Domenica calendario

Tanti comandano, Putin di più

I soldati del mondo sono uguali, dalle tute mimetiche all’elmetto, dagli oggetti che portano addosso al come li portano addosso. Forse c’è una sartoria centrale che provvede a europei e indonesiani, pachistani, svedesi e truppe arabe. C’è certamente un’armeria centrale. Le armi sono identiche. Se nelle scene visive (televisione o Rete) che mostrano il loro intervento, in qualche punto del mondo, non ci fosse una voce e una lingua guida, non sapremmo, fra le tante, di che guerra si parla.
Attenzione anche al giorno. Nel giorno uno, certe truppe di soldati uguali sono alleate. Nel giorno due una parte degli stessi soldati tengono testa ad altri soldati identici, che il giorno prima sembravano insieme. Non è necessariamente una improvvisa contrapposizione di Stati che erano alleati. O una ribellione. Può darsi che si tratti di un temporaneo cambio di strategia, o di nuovi ordini. O la decisione di dimostrare qualcosa, in una conversazione su quel mare di soldati uguali, da muovere e rimuovere secondo scambi di vedute che non conosciamo. L’uso dei bombardamenti aerei, di cui i media ci offrono solo la veduta delle immense conseguenze, a terra, sono immagini molto utili per capire gli ondivaghi movimenti dei soldati uguali. Anche gli aerei sono uguali, bombardieri agili e veloci della nostra migliore tecnologia nel cielo, che sono strumenti adatti per questo tipo di guerra pro o contro, che cambia continuamente. Ora colpiscono gli uni, ora gli altri, non fra nemici, ma fra diverse coalizioni che si sfaldano e cambiano mentre sono nel cielo e spostano, mentre bombardano, l’obiettivo, da un ospedale a una scuola, a un mercato. Colpiscono, distruggono e se ne vanno, per un minuto, per un’ora. O, come è accaduto nello Yemen, debole Paese arabo distrutto all’improvviso e ferocemente da un potente Paese arabo, l’arrivo e la partenza di aerei uguali che spazzano case e città, dura tuttora e nessuno sembra prestare attenzione. Abbiamo molte narrazioni dei profughi, tutte sulle modalità tragiche dei viaggi di fuga. Ma quasi nessun racconto sul modo in cui sono stati messi in fuga: se da truppe di un gruppo A o di un gruppo B, parte di armate identiche, non si sa se crudeli o chirurgiche, se impegnate o no nello sterminio individuale (famiglie, bambini, stupri) o nella conquista di un solo quartiere in cui si devono ridurre in macerie case, oggetti e persone. Se fossimo i cronisti di un mondo estraneo alla indistinguibile armata (ma non lo siamo perché là dentro abbiamo armi, tecnologia, alleati a cui ci accodiamo fedelmente nelle continue variazioni di percorso, anche quando siamo incapaci di interpretare) diremmo che siamo rattristati dal sacrificio ormai abituale di intere popolazioni civili, che siamo stupiti che non ci sia (o crediamo che non ci sia) una cabina di regia che decide azioni e cambiamenti che hanno conseguenze per tutti (come quando l’erede al trono saudita arresta 14 colleghi principi, cattura e ordina le dimissioni del primo ministro del Libano, dichiara nemici quattro Paesi arabi confinanti, mentre ha appena ricevuto una quantità di armi americane con l’impegno di mantenere la stabilità dell’area). Da osservatori (ma non lo siamo dopo la nostra decisione di schierarci contro i migranti, a costo di assoldare ciurme mercenarie per impedirne il salvataggio in mare) dovremmo notare che questa vasta alleanza fra sconosciuti, ciascuno dedito ai propri immediati interessi e senza alcun impegno di lealtà, cambia continuamente amico e nemico. La Siria esce, la Siria entra. I curdi sono o no da combattere. L’Iraq è o no un alleato. L’Inghilterra su quale fronte è dopo la Brexit? La Francia gioca da sola, quando si impegna a liberare il primo ministro libanese? Quali sono le conseguenze se un presidente americano promette potenza e torna a casa ammonendo che ciascun Paese deve essere grande per conto proprio?
Poi c’è l’ombra di Putin. È la gigantesca rappresentazione dell’amico-nemico che sa molto di te, mentre tu non sai quasi niente di lui. Parte delle truppe impegnate in tutte le guerre, sono sue. Sono protagoniste di improvvise, brusche inversioni di percorso. Nessun motivo ideale o politico è necessario (principio che vale per tutti gli altri, del resto) ma Putin arriva, occupa (quasi sempre accolto come il liberatore) e agisce, secondo uno schema che non deve discutere. Incassa ammirazione (e una strana forma di subordinazione) da Trump, che dovrebbe essere storicamente impegnato a tenergli testa. La riceve da piccoli politici europei (molti sono italiani) e ancora non si capisce quale beneficio si aspettino. Ma la chiesa del nuovo culto è gremita. Putin, i suoi servizi segreti, i suoi servizi informatici, per ora conducono il gioco. Tenetene conto non appena sentirete l’annuncio di un nuovo cambio di alleanza o di un nuovo conflitto.