La Stampa, 20 novembre 2017
C’è un cuore italiano nel business dei cavalli arabi
Alle sei del pomeriggio di un qualunque giovedì, fuori dai bar di Yas Island si sentono urla e applausi. Scena tipica da serata di Champion’s League. Ma da queste parti non sono patiti per il calcio e i tifosi si accalcano davanti alle televisioni per seguire la prima gara del circuito di galoppo. Immagini in diretta e adrenalina alle stelle. Vince un italiano già considerato una star: si chiama Antonio Fresu e nella sua prima stagione da fantino negli Emirati Arabi ha portato a casa 25 vittorie e un montepremi a molti zeri. «Quest’avventura è iniziata lo scorso anno e la grande fortuna è stata quella di vincere subito, già dalla prima gara – racconta lui – L’attenzione delle scuderie e dei tifosi verso di me è cresciuta in pochi mesi. Sarà che arrivo dall’Italia e qui è considerato un valore aggiunto».
La buona fama degli italiani nei circuiti milionari di Dubai e Abu Dhabi non è solo influenzata dalle imprese mitiche di Frankie Dettori. È merito di veterinari super specializzati e di cavalli forti, di giovani fantini che non sfigurano mai e di maniscalchi ossessionati dalla precisione. Il sardo venticinquenne Antonio Fresu è il più conteso dalle scuderie degli Emirati. E gli sceicchi che impazziscono per le corse, sarebbero disposti a firmare contratti milionari per affidare al suo sperone i loro cavalli.
Le vittorie sui circuiti di galoppo e i puledri più resistenti, quelli che trionfano nelle gare di endurance nel deserto, hanno alimentato il mito sportivo e parallelamente un business milionario. «La compravendita dei cavalli frutta ogni anno svariati milioni di euro», racconta il veterinario romano Stefano Daneri, amico personale degli uomini più potenti degli Emirati, uno che ad Abu Dhabi conta quasi come un’autorità. «I nostri allevatori, ogni anno, forniscono alle scuderie di questa zona più o meno 300 puledri. Il più forte cavallo della storia dell’endurance è proprio italiano e si chiama Nopoli del Mà». Lo sport nazionale degli Emirati, dunque, assicura affari da capogiro per gli allevamenti delle Marche, del Veneto, del Lazio e della Sardegna. «Una gara senza un fantino o un puledro italiano è davvero inimmaginabile», conferma il giornalista Jaffar Surij, che da 25 anni racconta le imprese equestri nei giornali locali.
Nei giorni delle celebrazioni per i 46 anni della fondazione degli Emirati, mentre le città si riempiono di bandiere e di luci, l’attenzione di tutti si concentra sulla tappa finale del festival «Sheikh Mansoor», un circuito che arriva fino agli Stati Uniti e in diverse zone d’Europa, con tre gare anche in Italia. «Per noi è una vetrina turistica ma non solo», sostiene Riccardo Giachino che organizza il circo dell’endurance tra gli stagni e le pinete della Sardegna. «Dopo la prima gara fatta nell’isola, le scuderie degli Emirati hanno acquistato 400 cavalli: gli uomini dello sceicco sono tornati a prelevarli con un aereo speciale».
Nella serata dedicata al galoppo, l’ippodromo di Abu Dhabi è al completo. Cinque ore di diretta tv, ospiti d’eccezione e montepremi milionario. Ai nastri di partenza ci sono anche i due cavalli di Alessandro Marconi, che è arrivato qui come assistente allenatore e che ora guida una scuderia con 70 dipendenti. «Nella mia famiglia tutti credevano che la passione per i cavalli non mi avrebbe fruttato un euro. E ho dimostrato che avevo ragione. Nel grande mondo equestre degli Emirati il 20 per cento delle persone arriva dall’Italia».
Non solo fantini e veterinari, ma anche allenatori, allevatori e palafrenieri. Rosario Tamburrino è proprio un maniscalco, ha 44 anni ed è originario di Asti. È arrivato a Dubai da pochi mesi e la scuderia gli ha messo sulle spalle una grande responsabilità: la cura di 70 cavalli. «Sono soddisfatto, perché il bagaglio di esperienze viene valorizzato. La nostra grinta e la nostra affidabilità vengono premiate». Anche per le buone idee il successo è garantito. E questo lo sa bene Marco Sardo, un sassarese che negli Emirati è riuscito a rivoluzionare le tecniche di monta. La sua sella speciale è diventata una specie di oggetto di culto: la usano tutti, sceicchi compresi. «È molto più adatta per trascorrere molte ore a cavallo: il fantino assume una posizione più comoda. Ora la vendiamo in tutto il mondo».
Per il veterinario umbro Massimo Puccetti l’esperienza a Dubai è iniziata per caso e non benissimo, ma di lui tutti dicono la stessa cosa: «Non sbaglia mai una diagnosi». E non è un caso che la cura dei migliori cavalli di Sheikh Mohammed sia affidata totalmente a lui. «Sono venuto per sostituire un collega americano che lavorava nella clinica veterinaria: pensavo di star qui poco tempo ma sono già passati dieci anni. I primi mesi ovviamente non sono stati facili e sono persino finito in carcere per aver investito un cammello. Anche se non sembra, tra la cultura italiana e quella locale ci sono tanti punti comuni». In più c’è il fascino che gli arabi nutrono per il tricolore. E basta chiamarsi Dettori per emozionare gli appassionati di galoppo: Rocco, il figlio dell’insuperabile Frankie, ha solo 12 anni e ha appena iniziato a correre in groppa a un pony. Ma sugli spalti dell’ippodromo di Abu Dhabi gli sceicchi fanno la fila per un selfie con lui.