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 2017  novembre 19 Domenica calendario

L’uomo del deserto. Marcia solo per chilometri negli inferni di sabbia: «Il giorno che senz’acqua e nudo ho visto la morte»

Affonda gli scarponi nella sabbia cocente, che può raggiungere fino agli 80 ̊ di temperatura, e indossa gli abiti più leggeri possibile quando decide di affrontare le dune del deserto. Lo zaino in spalle, un saluto al team e si incammina da solo senza più voltarsi, mentre davanti agli occhi si estendono chilometri infiniti di sabbia e più nulla. Max Calderan, cinquant’anni tondi, prima di partire si avvolge il viso tra le pieghe di una bandana. Naso, bocca, orecchie, fronte. Tutto scompare dietro il tessuto leggero per evitare che il sole bruci la pelle. Si lascia solo uno spiraglio per gli occhi. «Sono un esploratore di deserti mai attraversati», racconta. È nato a Portogruaro, in provincia di Venezia, ma da anni vive a Dubai con la famiglia. Di lavoro fa il consulente sportivo, «professione che mi consente di portare avanti la mia passione», ha spiegato ieri, ospite a Milano al Forum delle eccellenza di Performance Strategies. 
Max, sei noto in tutto il mondo per le tue avventure e sei detentore di 13 prime mondiali assolute per attraversamento di deserti inesplorati a piedi e in solitaria, tra cui il Tropico del Cancro. Comè nasce questa passione? 
«Quando avevo sette anni, mia madre mi comprò un’enciclopedia. Gli occhi si soffermarono in un punto sulla cartina dell’Arabia Saudita, il deserto dell’Empty Quarter: 1.200 chilometri totalmente inesplorati. Da allora tutte le notti e tutte le mattine quel deserto è il mio pensiero fisso». 
Sei riuscito ad attraversarlo? 
«No, non si sono ancora presentate le condizioni ideali. La mia prima vera esplorazione è stata nel 2006, il deserto del Qatar, più di 200 km in 38 ore». 
Passi tante ore tra la sabbia dei deserti. Cosa ti porti dietro per sopravvivere? 
«Il minimo. Nel mio zaino metto solo qualche litro d’acqua. In un giorno riesco a percorrere fino a 160 chilometri a temperature che toccano i 70 ̊ consumando soltanto mezzo litro d’acqua. Poi mi porto quello che mangio tutti i giorni: frutta, carne secca, latte, tonno in scatola, noccioline». 
Occorre allenarsi molto... 
«Costantemente. Salgo centinaia di piani senza fermarmi. Faccio in salita quattro o cinque scale e poi riscendo per simulare la camminata sulle dune. Non mangio, non bevo, non dormo per tre giorni. Nel deserto non bisogna fermarsi, neanche per dormire, i pericoli sono dietro l’angolo e i chilometri da fare sono parecchi. Il percorso più lungo che mi è capitato è stato di 540 km». 
I beduini ti chiamano “Mahdi”, che significa “Il ben guidato”. Come si rapportano con te? 
«Il ben guidato ha un significato spirituale. Si stupiscono quando mi vedono sopravvivere in situazioni impossibili. Credono che un’entità superiore si prenda cura di me. È gente spontanea, molti di loro non hanno mai visto nulla se non la sabbia». 
Cosa si prova ad attraversare luoghi sconosciuti? 
«Una sensazione di stupore. Conosci qualcosa che mai nessuno ha conosciuto prima di te. Appoggi i tuoi piedi dove nessuno è mai stato, posi i tuoi occhi su luoghi mai visti». 
Ma non hai paura? 
«La paura non esiste. Esiste solo la non conoscenza. Quando sei da solo nel deserto vedi davanti a te solo sabbia, senti rumori, arrivi di fronte a tratti difficili da attraversare dove le dune diventano più alte, la terra più impervia. Ma quando vedo un ostacolo, scatta qualcosa in me che mi fa andare avanti. “Sarà impossibile per gli altri”, mi dico, “non per me”. Io mi sono tolto dalle medie statistiche. Quando è estate e le autorità vietano di attraversare certi luoghi perché si andrebbe incontro a morte certa, io ci vado lo stesso». 
Mai capitato di temere per la sopravvivenza? 
«Una volta sono rimasto senz’acqua. Mi sono buttato per terra nudo e sono rimasto lì per 24 ore aspettando di morire. Poi a un certo punto è scattato qualcosa in me che mi ha spinto ad alzarmi, ho percorso altri 280 metri e ho visto spuntare dietro a una duna il mio team che mi aspettava. In quel momento ho pensato a tutta l’acqua che avevo buttato nella mia vita, non bevendo l’ultimo bicchiere al ristorante, lasciando scorrere il rubinetto mentre mi lavavo i denti e ho deciso che non avrei sprecato più nulla. La mia vita ora si basa sulla privazione. Nell’armadio ho pochi vestiti, non compro più nulla di superfluo».