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 2017  novembre 19 Domenica calendario

Tutti studiano inglese ma sognano il dialetto

Daje, che anche i giovani riscoprono il dialetto. Mettono i like su Facebook, si whattsappano tutto il giorno, cantano in inglese, ma poi sono sempre più attratti dalle espressioni della terra d’origine. Jamm bell (in napoletano), e mo ’ndo annamo? (romanesco). Famo c’anduma (piemontese). Cusse ti imbelini cun sta moto? (genovese), fino all’intramontabile milanese Va a ciapà i ratt, sono frasi che ormai conoscono anche gli adolescenti più tecnologici e avvezzi al linguaggio dei social. Anzi, quasi a sorpresa, è proprio la Rete in certi casi ad avvicinare i ragazzi al dialetto perché sul web il purismo linguistico va a farsi benedire, la regola è che si parla senza filtri, pane al pane vino al vino, l’importante è capirsi, e se per avere più seguaci bisogna infilare qualche espressione gergale, che problema c’è? Magna e tasi, come dicono in Veneto. O, alla ligure, batt’ u belin (cioè me ne sbatto). 
La tradizione, dunque, non scompare, le frasi che i nonni sentivano dai loro padri e cercavano di fare comprendere a noi bambini («T’è capì o no? Ti te capisset na gòt perché te see on bauscia», che tradotto significa: hai capito o no? Tu non capisci niente perché sei uno sbruffone), sono un patrimonio da preservare, il segno di un legame con il territorio e le origini. 
Il dialetto è veramente tornato di moda. Saranno le serie televisive come Gomorra e Romanzo Criminale, o programmi comici tipo Made in Sud, saranno i video che su youtube o le parodie delle canzoni: cresce la dialettomania, al punto che perfino i messaggi d’amore dei celebri Baci Perugina non sono più solo in italiano, ma ad esempio in pugliese: «L’acque a ppicche a ppicche iègne u sìcchie» (A goccia a goccia si riempie il secchio) e già questa è una piccola rivoluzione. 
Recenti studi confermano questa tendenza. Un’indagine condotta su circa 3500 italiani, uomini e donne di età compresa tra i 18 e i 65 anni, conferma che 6 giovani 10 utilizzano il dialetto e sono incuriositi dalla possibilità d’impararlo. Il 67% degli intervistati desidera creare un legame forte con la propria famiglia; il 59% vuole conoscere la storia di determinati termini ed espressioni, il 52% vede «la possibilità di arricchire il proprio parlato con espressioni colloquiali». Da una decina d’anni a questa parte c’è stato un boom, anche sulla spinta della tv e dello scambio in rete. Tutti studiano l’inglese, perché è materia scolastica, è nel piano didattico di ogni istituto, ma la parlata locale spacca. Secondo il 72% dei giovani sono gli amici le persone che più li spingono a sperimentare gli idiomi di altre regioni. Per i fuori sede è facile apprendere espressioni tipiche della città dove sono ospitati. Idem in vacanza: che si tratti di stringere amicizia con ragazzi del posto, ristoratori, o per entrare meglio in una comunità, lo stesso linguaggio aiuta. 
Ci sono dialetti che tirano più di altri. Il napoletano spopola (perfino nel nord): aumm aumm, bell ’è bbuono, ha da passà ’a nuttata. Così come il romano A chi tocca ’n se ’n grugna (a chi capita, capita), oppure s’è fatta ’na certa (è tardi), o ancora stai fori coll’accuso (il tuo comportamento ha superato il limite di sopportazione). Ma basta andare a Milano per accorgersi che le espressioni meneghine sono ovunque, perfino sulle bottiglie di latte: Chi volta el cùu a Milan, li volta al pan (Chi volta il sedere a Milano, lo gira al pane). E il toscano Mi garba è nella classifica dele dieci espressioni dialettali più apprezzate dagli italiani insieme al perugino Gimo (andiamo) e al siciliano talè o camurria. Poi ci sono gli spettacoli, i teatri in dialetto, come quello di Ferruccio Reposi, una celebrità in materia che non si stanca mai di sfornare testi rigorosamente in mandrogno (alessandrino) con la sua compagnia Divergenze Parallele: «E ho ragazzi sempre più giovani che mi chiedono di partecipare». «È importante l’uso del dialetto perché le lingue locali rappresentano un patrimonio locale rilevantissimo», conferma Riccardo Regis, professore di Dialettologia all’università di Torino.