la Repubblica, 18 novembre 2017
«La musica classica? Sa di museo». Andrea Battistoni: se va nelle arene conquista i giovani
ha l’aria di un folletto dark con un diavolo per capello. Ed è un direttore d’orchestra anomalo per la sua totale resistenza alle convenzioni. Mefistofelico nel suo aspetto da Paganini del terzo millennio, Andrea Battistoni ottiene successi dall’Europa fino all’Estremo Oriente. Tra un volo intercontinentale e l’altro si diverte a opporsi all’etichetta di “musica classica”: «Viene adottata in modo erroneo per indicare la musica sinfonica e da camera e l’opera lirica, mentre il classicismo in musica equivale a una fase storica specifica». Aggiunge che il termine «odora di museo ed evoca l’immagine di corridoi pieni di statue grigiastre, Giuli Cesari fatti a pezzi e Afroditi sbilenche. Come può la cosiddetta “musica classica”, ascoltata da un pubblico di quattro pensionate e un paio di studenti Nerd del Conservatorio, parlare ai figli d’Internet in un’epoca frenetica come la nostra?».
Tempo fa, quando esplose precocemente la sua stella, scrisse il libro “Non è musica per vecchi” (Rizzoli): «Volevo far capire ai ragazzi perché tanti esseri umani, sul pianeta, passino ore ad ascoltare capolavori composti nel passato remoto». Come lo ha spiegato? «Mostrando fino a che punto quei “romanzi cantati” che sono i melodrammi, e i brani sinfonici più emozionanti, trasmettano un messaggio attuale. Sono creazioni che ci mettono in rapporto con sentimenti profondi, contatto di cui noi giovani abbiamo più che mai bisogno in quest’era ipertecnologica». Nella stessa ottica espansiva, Battistoni è un paladino dei contesti inconsueti per la classica, «poiché possono agganciare un pubblico enorme. Lungo i secoli la lirica e la sinfonica sono state inserite in “sacri” contenitori deputati, dove usufruirne diventa un po’ come recarsi a messa: il rito esige certi abiti e gesti. Ma noi dobbiamo spogliarci dal timore reverenziale che incutono le sale paludate e restituire vitalità alla musica, che a volte risulta più accessibile quando evade dai luoghi istituzionali». Andrea dirige spesso all’aria aperta, per esempio nella vastità dell’Arena di Verona, città in cui nacque nel 1987 e dove esegue opere come “Aida”, che riprenderà a Verona sotto le stelle nel ‘18: «Quello spazio impressionante rappresentò il mio imprinting di spettatore. Da bambino restai senza fiato per l’immensità del posto, la musica sublime e le candele che brillavano. Il pubblico eterogeneo dell’Arena va dal melomane al turista e al ragazzetto locale. Un popolo attraente, che reagisce in modo istintivo». Nel 2011 Battistoni ha guidato l’Orchestra Sinfonica della Rai nel concerto per i 150 anni dell’Unità d’Italia in Piazza Castello a Torino, davanti a venticinquemila persone, e l’anno dopo ha condotto la Filarmonica della Scala nel Forum di Assago, solitamente destinato al rock: «Queste operazioni sono parenti della festa popolare e spandono la gioia del fare musica di cui parlava Bernstein».
Andrea, che dirigerà tra l’altro “Bohème” dal primo al 31 dicembre ad Amsterdam, è un tipo esuberante e pieno di sorprese, con l’hobby di collezionare sigari cubani e toscani e una propensione per le rock band: «Mi piacciono gli AC/DC e i Deep Purple. La musica è una passione a 360 gradi». Incoraggia quella che chiama «la liberazione dell’applauso». Tradizionalmente pare un atto da ignoranti applaudire tra un movimento e l’altro delle sinfonie, ma lui al contrario esalta «la pratica dell’applauso selvaggio in uso all’epoca di Beethoven, quando accadeva pure che l’orchestra si fermasse per suonare daccapo un passaggio musicale assai gradito. L’esecuzione era una jam session cui il pubblico prendeva parte con empatia e vivacità».
Direttore principale del Teatro Carlo Felice di Genova (dove farà “Norma” con Mariella Devia dal 2 al 30 gennaio 2018), Battistoni, nel ‘16, è stato eletto Chief Conductor della Tokyo Philharmonic, e si descrive «sedotto, incuriosito e spaventato dalla diversa forma mentis dei giapponesi». Spiega che a Tokyo “gli orchestrali hanno un approccio alla musica super-preciso. Ma se è vero che la disciplina è di estrema utilità, il rischio è attestarsi su un ottimo livello tecnico senza scavi intensi. Loro apprezzano la mia volontà di non accontentarmi di una preparazione elevata e io provo a costruire un suono più ricco ed espressivo: lo scambio è proficuo».