Corriere della Sera, 18 novembre 2017
Troppe squadre e stranieri? Meglio ripartire dal piccolo
La discussioni apertasi sul calcio mi sembra abbia un limite di fantasia, ha scelto un solo nemico, Tavecchio, che non è mai stato in campo e non ha mai giocato nessuna delle partite che ci hanno cancellato. Vada pure a casa, si può fare meglio, ma Tavecchio non c’era né quando siamo arrivati ultimi al Mondiale di Lippi né quando siamo stati mandati subito fuori al Mondiale di Prandelli. La crisi era già evidente in quel tempo. Mi sembra che stiamo parlando molto di un presidente e pochissimo di calciatori e di gioco, cioè di chi ha materialmente perso. La nostra crisi è lì, nel perché non produciamo da molto tempo un calcio di qualità internazionale. Poi arriva tutto il resto. Ci sono molte proposte su come riorganizzare il nostro calcio. Questo è buono, ma nell’enfasi mi sembra si sfiori a volte l’irrealtà. Provo a elencare.
La crescita del vivaioSi vuole una legge dello Stato che prenda il 10% del fatturato delle società per investirlo nei vivai. Va benissimo, ma sarebbe una legge quasi sovietica. Una società è un’azienda privata, i soldi sono i suoi. Può una legge decidere dall’alto l’indirizzo addirittura del 10% del suo fatturato? Il calcio è tra i primi sette contribuenti, non prende soldi dallo Stato, ne dà. Ha diritto lo Stato di decidere la politica industriale di un’azienda? Non credo. Ma c’è di più, una legge del genere nel giro di pochi anni aumenterebbe in modo deforme la differenza tra le squadre. La Juve investirebbe nei vivai 35 milioni l’anno, il Chievo 3, la Fiorentina 7. In tre anni i ragazzi migliori andrebbero solo in due-tre direzioni.
Stranieri o non stranieriSono tanti, sono troppi, ma quasi sempre costano meno. Se si fa un mercato solo italiano si sceglie fra 100 giocatori. Con gli stranieri si sceglie fra 5 mila. Il prezzo è conseguente. Se poi volessimo mettere in campo solo 5 stranieri su dieci, che ne sarebbe della competitività in Europa dei nostri club? Inghilterra, Spagna, Germania, Francia, perfino Svizzera, continuerebbero ad avere i loro tanti stranieri. Noi andremmo per forza indietro.
Quante squadre in A?Riassumendo, è come dicessimo che la crisi del calcio è di Benevento e Verona. Una sciocchezza. La differenza non è con le ultime due, ma tra le prime 5 e le altre quindici. Ed è una differenza economica, geopolitica, quasi inevitabile. Le prime sono le squadre di Milano, Roma, Napoli, più la Juve che è di tutti. Dimentichiamo sempre che l’Inghilterra gioca con 20 squadre, la Spagna e la Germania anche. La Russia con 14 e non mi sembra giochi meglio.
Il problema LegaSeguo il calcio da cinquant’anni e un problema Lega è sempre esistito. Perché? Perché la Lega è formata da 20 società ognuna delle quali cerca il proprio vantaggio. Un’azienda singola può dare grandi deleghe a un manager, tutto resta in casa; venti aziende le daranno solo se sono sicure di avere altro in cambio. Cosa? E a chi?
Dove sono i calciatoriManca in questa crisi la voce dei calciatori, cioè dei responsabili veri. Damiano Tommasi, presidente della loro Associazione, ha lasciato indignato la prima riunione del Consiglio federale dopo la Svezia dimenticando che rappresentava la categoria che aveva materialmente causato il danno. Ci dicano i giocatori di cosa hanno bisogno per giocare meglio, per essere all’altezza degli avversari, facciano un loro programma, dettino condizioni finalmente tecniche e non solo economiche, ci mettano la faccia. Ora vorremmo grandi giocatori a capo del movimento, ma nessuno di loro fa un passo, racconta un’idea. Stanno su un piedistallo dietro la tenda nera della crisi ad aspettare la chiamata. Troppo poco. Quasi vergognoso.
Campetti per bambiniAbbiamo dato con le scuole calcio campi interi ai bambini. Non sanno cosa farsene, sono spazi troppo grandi per loro. I 90 metri da un’area all’altra sono una deriva sahariana per un ragazzo alto un metro. L’Italia si è sempre giovata dei piccoli spazi di oratori e strade. Oggi ci sono i campi di calcetto dove si gioca in cinque. Se ne possono rapidamente costruire in tutti i parchi. Non condannano alle tattiche perché si gioca in pochissimi, e costringono al dribbling, al controllo del pallone, al passaggio continuo. È così, e lontano da genitori e maestri, che deve giocare un bambino.
Paradossi da futuro c.t.Ancelotti vuole un progetto dall’Italia. Io pensavo dovesse portarlo lui.