Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  novembre 19 Domenica calendario

Intervista al ceo di Carige Paolo Fiorentino: «La banca ce l’ha fatta da sola, dopo il risanamento pronti all’M&A»

I due giorni e le due notti ad altissima tensione di Carige, con la trattativa a oltranza tra i soci e le banche d’affari per la garanzia sull’aumento da mezzo miliardo sono costati «qualche tensione allo sportello», per lo più nella mattinata di venerdì. Ma «la relazione con i nostri clienti è stata sempre di grande affezione», dice il ceo Paolo Fiorentino: «Abbiamo spiegato loro e ci hanno confermato la fiducia, quelli che se ne sono andati torneranno già da lunedì». Ora, a poche ore dall’accordo con Credit Suisse, Deutsche e Barclays che rende l’aumento virtualmente in porto, il manager sottolinea con Il Sole 24 Ore che «per la prima volta, per lo meno nei tempi recenti, una banca italiana dimostra di potercela fare da sola», senza l’intervento dello Stato o del sistema bancario. Un segnale importante per tutto il settore, «che può senz’altro contribuire ad arginare ogni possibile effetto contagio», aggiunge: «Anche perché non possiamo certo negare la situazione di debolezza che abbiamo ereditato. Questa volta, però, ce l’abbiamo fatta. Da soli.».
È stata molto più dura del previsto, però. Perché è stato così tormentato questo ultimo miglio?
Ci siamo trovati a dover gestire due difficoltà non previste fino a poche settimane fa. Penso anzitutto al giro di vite annunciato dalla Bce con l’addendum sulle linee guida per gli Npl, a cui pochi giorni dopo si è aggiunta la notizia dell’aumento di capitale del Credito Valtellinese, due fatti che hanno modificato la percezione del rischio da parte del mercato anche sulla nostra operazione.
Anche le mosse esternamente di difficile interpretazione degli azionisti stabili, a partire da Malacalza, non hanno aiutato.
Si tratta di soci molto demanding, che forse in alcuni passaggi non hanno contribuito a fare chiarezza sui contorni dell’operazione. Quel che conta è che abbiamo lavorato molto per smussare gli angoli, alcuni investitori istituzionali sono pronti a salire a bordo e alla fine siamo riusciti a costruire un’operazione che si pone a metà tra un private placement e un aumento vero e proprio. Ora c’è da vedere come reagirà il retail: io sono positivo, perché in Carige i piccoli soci valgono il 50%, e di questi il 73% sono liguri; il mio sogno è di trovarmi con una domanda superiore all’offerta, sarebbe un bel segnale per noi e per l’industria bancaria italiana.
Al momento quale quota dell’aumento può considerarsi virtualmente coperta?
Quasi 300 milioni, tra i soci noti, qualcuno nuovo di natura istituzionale, e gli ex bondholder.
Dunque entreranno nel capitale anche Generali, Intesa e Unipol?
Vedremo. Registro un’ottima predisposizione di tutti. È chiaro che per un investitore che si è detto interessato a prendere parte allo scambio dei bond la partecipazione all’aumento ha una valenza difensiva, consente di mettere in sicurezza il proprio credito.
Torniamo ai soci forti: alla fine, che peso avranno nella banca?
I soci forti hanno sin dal primo momento espresso la volontà di rimanere e, nel caso di Malacalza e Volpi, di salire. Dipenderà nel caso di Malcalza dall’iter autorizzativo, ma mi è sembrato un bel segnale anche questo. Vedremo come andrà il retail se la vocazione dovesse essere confermata, insieme all’ingresso di qualche socio istituzionale, credo che potrebbero restare dove sono.
Come lei accennava oggi la quota in mano al retail è significativa, e decisamente superiore alla media delle banche italiane delle vostre dimensioni: si tratta di migliaia di piccoli soci che negli ultimi anni hanno perso quasi tutto il loro investimento. Che cosa dovrebbero fare adesso?
Rendersi conto del fatto che il rilancio della banca è possibile. So che la decisione non è facile, ma rinunciare all’aumento significa non godere delle prospettive di ripresa di Carige dopo averne pagato il conto della ristrutturazione. I numeri sono chiari: dopo l’aumento avremo un multiplo di 0,25 sul patrimonio netto, quasi la metà della media di settore, a fronte di un Texas ratio (Npl su patrimonio netto, ndr) al 70%, tra i migliori. Sono indicatori in grado di cambiare le banca e le sue prospettive.
A proposito di prospettive: questa banca è fatta per stare da sola o trovarsi un partner?
Premesso che né per oggi né per domani c’è qualcosa in agenda, e che nessuna delle ipotesi su cui sembra speculare il mercato è matura, credo che Carige debba fare la sua parte nel processo di consolidamento. Che è sempre più inevitabile, come dimostrano le difficoltà delle banche di medie e piccole dimensioni a uscire dal guado. Tra difficoltà a livello di costi e di ricavi, è evidente che c’è la necessità di perseguire economie di scala, e anche l’evoluzione normativa va in questa direzione. Dopo l’aumento, con valori completamente diversi da quelli di oggi, potremo mettere sul tavolo una banca completamente risanata nell’interesse di tutti, a partire da quello degli azionisti vecchi e nuovi.
In questi giorni la banca ha davvero rischiato il peggio?
Direi di no: certo è che i rischi collegati alla mancata partenza dell’aumento sarebbero stati enormi: Carige avrebbe dovuto trovare strade alternative e dolorose, generando uno scenario che avrebbe propagato la crisi su tutto il settore. Sicuramente avremmo rischiato di aprire una nuova stagione di incertezza.
Avete sentito il fiato sul collo da parte dei tanti regolatori?
Al contrario, dalla Bce alla Banca d’Italia, da Consob a Borsa Italiana è stato tutto gestito nella massima trasparenza e collaborazione. Anche la decisione di Borsa di sospendere il titolo nella seduta di venerdì è stata fondamentale, a maggior ragione perché non ovvia: hanno avuto fiducia nel fatto che fosse solo una questione di ore e abbiamo evitato che ci fosse un effetto panico sui mercati che poteva avere propagazioni pericolose.
Il Tesoro intanto era al lavoro su un eventuale «piano B»?
Anche con il Mef siamo sempre stati in contatto costante, ma non abbiamo mai parlato di piani B.
.@marcoferrando77