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 2017  novembre 19 Domenica calendario

Paradise Papers, ecco i politici che amano l’offshore


Evasione impunita, ingiustizia legalizzata,  capitali anonimi, mafiosi intoccabili, miliardari sempre più ricchi, masse di cittadini sempre più poveri e tartassati. Così va il mondo nell’era delle offshore. Società-cassaforte che permettono a un’élite di privilegiati di nascondere enormi tesori nei paradisi dove non si pagano le tasse. E dove si può restare anonimi, senza comunicare a nessuna autorità chi controlla fondi, trust e società-schermo create da professionisti del denaro nero in grado di garantire totale segretezza a chiunque. Criminali compresi. 
Sono problemi globali documentati dall’inchiesta Paradise Papers: 382 giornalisti di 96 testate di tutto il pianeta che hanno lavorato per mesi, insieme, su una montagna di carte riservatissime. Oltre 13 milioni di documenti, ottenuti dal quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung e condivisi dall’International consortium of investigative journalists (Icij), che stanno svelando ai cittadini del mondo gli affari inconfessabili dei potenti. Carte che rispondono anche a una domanda fondamentale: perché non si fanno leggi per abolire le offshore? Come mai governi e istituzioni internazionali non vietano di aprire società anonime che rubano le tasse agli Stati, impoveriscono gli onesti e proteggono i criminali? 
La risposta è sempre nei Paradise Papers: perché nelle offshore ci sono anche i politici che scrivono le leggi. I giornalisti del consorzio Icij, di cui in Italia fanno parte L’Espresso e Report, hanno identificato ben 120 capi di Stato, ministri, parlamentari e tesorieri di partiti di mezzo mondo. Tutti beneficiari di ricchezze nascoste in società offshore. Tutti interessati a tenere occulte quelle casseforti esentasse. A nasconderle al fisco e alla giustizia. 
In Italia, dopo Tangentopoli, i politici hanno imparato a ridurre i rischi giudiziari. Tra il 1992 e il 1994 i magistrati di Mani Pulite hanno inquisito e condannato centinaia di parlamentari, ministri, dirigenti pubblici e grandi corruttori che nascondevano fondi neri nelle offshore. Da allora quasi nessun politico si intesta personalmente una cassaforte estera. Troppo alto il rischio di essere denunciato da qualche funzionario di banca o smascherato dalle intercettazioni di un’indagine giudiziaria. Nei Paradise Papers, però, compaiono personaggi in apparenza estranei ai partiti, ma che hanno forti legami con politici italiani di primissimo piano. 
Nelle prossime pagine, ad esempio, L’Espresso rivela le società offshore di un miliardario libanese che è l’unico amministratore straniero della fondazione politica presieduta dal ministro Angelino Alfano. E la storia di vent’anni di offshore riservatissime, tra Malta e le Isole Cook, gestite da uno dei due soci fondatori dello studio professionale del senatore Giulio Tremonti. Nelle carte finora segrete spunta anche una misteriosa cassaforte maltese a disposizione del (da poco defunto) fratello di Bettino Craxi. E, naturalmente, c’è il leader di Forza Italia, con uno yacht alle Bermuda targato Fininvest: nel mondo delle offshore, Silvio Berlusconi non delude mai.
Nei paradisi fiscali internazionali, per altro, gli amici, le aziende e i soci dei politici italiani sono in ottima compagnia. L’inchiesta Paradise Papers ha svelato gli investimenti offshore della regina d’Inghilterra e del principe Carlo. L’eredità esentasse lasciata da re Hussein di Giordania ai nipoti, gestita dall’attuale regina Noor. In Siria emerge Rami Makhlouf, cugino del sanguinario dittatore Assad, ora collegabile a quattro società anonime libanesi. Con cui sembra riuscito ad aggirare le sanzioni internazionali contro gli uomini del regime per investire in imprese romene e polacche, oltre che in Syriatel, la compagnia telefonica nazionale. In Arabia Saudita spicca il principe Khaled bin Sultan bin Abdulaziz.
Negli Stati Uniti i senatori democratici guidati da Bernie Sanders chiedono un’indagine parlamentare sul nuovo capitolo del Russiagate: gli investimenti alle isole Cayman del miliardario Wilbur Ross, ministro al Commercio dell’amministrazione Trump, socio non dichiarato del genero di Putin e di un altro oligarca russo. Poi ci sono gli intrecci tra Jared Kushner, genero di Trump, e un altro magnate di Mosca. Gli affari riservati di un altro ministro, Rex Tillerson, segretario di Stato Usa. E il business finora inedito tra Neil Bush, fratello dell’ex presidente repubblicano George W., e l’ex premier giapponese Yukio Hatoyama, oggi industriale dell’energia tra Hong Kong e le Bermuda, che ha negato interessi nascosti: «Ero solo presidente onorario». Nei Paradise Papers, insomma, c’è l’élite del mondo: i big della politica che dettano le leggi e i grandi imprenditori che dovrebbero rispettarle.
Il vizio delle offshore attraversa tutti i continenti. In Spagna è nella bufera Jesus Posada, deputato del Partito popolare ed ex presidente della Camera: sua moglie risulta amministratrice di una società di Malta che incassa 178 milioni di euro all’anno vendendo bevande alcoliche. Con una tassazione bassissima. In Austria c’è l’ex cancelliere Alfred Gusenbauer, leader dei socialdemocratici sconfitti dalla destra alle ultime elezioni. In India il senatore Ravindra Kishore Sinha (del partito al potere, il Bjp) controlla la società d’intelligence Sis attraverso due offshore di Malta. In Russia Marina Sechina, ex moglie del capo della Rosneft Igor Sechin, già vice politico di Putin, ha creato cinque immobiliari alle isole Cayman per acquistare centri commerciali in Europa. E in Indonesia si arricchiscono con i paradisi fiscali due figli e un fratello di Suharto, il feroce e corrotto dittatore morto nel 2008. 
Nel Brasile già travolto dalle inchieste sulle maxi-tangenti petrolifere, i Paradise Papers offrono rivelazioni inedite sul ministro delle Finanze, Henrique De Campos Meirelles, e su Blairo Borges Maggi, responsabile dell’Agricoltura, socio occulto di una offshore delle Cayman che incassa sussidi agricoli. Dall’Africa all’Asia, dal Sudamerica all’Australia, ora ministri e parlamentari minimizzano, smentiscono irregolarità, attaccano i giornalisti. Ma leggi contro le offshore non ne propone nessuno.