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 2017  novembre 18 Sabato calendario

La vendetta della Potemkin. Controstoria rivoluzionaria di una corazzata pazzesca


Lunedì scorso, in contemporanea con la fatale partita di qualificazione ai mondiali tra Italia e Svezia, alcuni cinema italiani programmavano l’edizione restaurata del film “La corazzata Potemkin” di Sergej Michailovic Ejzenstein. Il che non sarebbe una gran notizia, se non fosse che in Italia il film è anche legato alla memorabile scena del “Secondo tragico Fantozzi”, in cui i poveri impiegati vengono costretti, durante un mirabolante match calcistico Italia- Inghilterra, a recarsi nel cineclub aziendale per vedere per l’ennesima volta il film di Ejzenstein(anzi, per la precisione, un suo fac-simile girato da Salce, La corazzata Kotiomkin). L’episodio, come è noto, finiva con la vendetta degli impiegati, al grido di « La corazzata Kotiomkin è una cagata pazzesca!». Prevedibilmente, la coincidenza tra la programmazione del film e la partita decisiva non è passata inosservata, specie su blog e social network, che hanno notato il temerario accostamento. Lo storico del cinema Roy Menarini ha auspicato ironicamente una giornata di riconciliazione nazionale, con una proiezione parallela del film e della partita, in split screen.L’esito del film è stato sorprendente: a suo modo, un piccolo caso. Nei due giorni di programmazione (lunedì e martedì) La corazzata Potemkin ha avuto una media a copia superiore a quella di quasi tutti gli altri film in circolazione. Ovviamente in termini assoluti non era il film più visto, trovandosi in una dozzina di sale. Ma per semplificare: se in ogni sala in cui programmavanoThe Place di Paolo Genovese, con mezzo cinema italiano nel cast, c’erano 158 spettatori, e in quelle che davano l’ultimo film di Moccia ce n’erano 85, a vedereLa corazzata Potemkin erano 299. Il giorno della partita, al Nuovo Sacher di Roma, è stato il secondo miglior incasso della città, con appena qualche decina di euro in meno del documentarioLoving Vincent.La vendetta del Potemkin? Forse è un’esagerazione, in fondo gli spettatori finora sono stati circa 5500 in tutta Italia, e paradossalmente la presenza della partita ha fatto notare ancora di più il risultato: il pubblico non interessato al calcio era proprio quello che poteva aver voglia di a vedere il film di Ejzenstein, mentre il pubblico “normale” disertava le sale. Ma l’altro dato sorprendente, seppur non verificabile scientificamente, è la varietà del pubblico. A Roma (dove ho presentato il film martedì) c’era una percentuale sorprendente di giovani, un pubblico diverso da quello del cinema d’autore contemporaneo. E così pure, riferiscono gli esercenti, in molte proiezioni, da Palermo a Torino a Firenze. Probabilmente c’entra anche un bisogno di cinema del passato, che resiste e cresce nelle nuove generazioni, anche perché non è più soddisfatto da una programmazione ragionata.Davanti a una disponibilità illimitata di cinema scaricabile, legalmente o meno, mancano bussole per orientarsi. Finita la stagione dei cineclub ma anche quella dei cicli televisivi, morto il mercato dei dvd, in Italia la fruizione del cinema del passato è sempre più parziale e casuale. Nonostante tutto, la programmazione delle tv satellitari e via cavo non riesce a fornire un’alternativa adeguata, e le nuove piattaforme semplicemente non la prevedono: è di qualche settimana fa la lettera aperta di alcuni registi americani a Netflix perché dedichi attenzione ai film classici, sostanzialmente assenti dalla sua offerta. L’élite degli spettatori giovani vive quindi la ricomparsa del cinema del passato come qualcosa di affascinante ed esotico, magari più nella logica dell’eccezione e dell’evento che in quello della visione normale.E allora anche il Potemkin può ottenere giustizia, perfino in Italia dove nei decenni scorsi era più proverbiale e famigerato che conosciuto. Ora che anche i primi due Fantozzi sono entrati a pieni titoli tra i “classici restaurati”, il film di Ejzenstein può tornare a essere, in una chiave post- ideologica, ciò che è nel resto del mondo: un’opera d’avanguardia, sperimentale, giovanile, a suo modo cool.Era il film di un ragazzo di 27 anni, girato avventurosamente, con un uso del montaggio percussivo, musicale, tanto da stimolare la creatività di gente come Michael Nyman o i Pet Shop Boys, che negli scorsi anni lo hanno ri-musicato. Un film che è stato utilizzato spesso come riferimento in chiave modernista, e omaggiato soprattutto negli Stati Uniti, a cominciare da registi della New Hollywood come Francis Ford Coppola e soprattutto Brian De Palma, in una celebre scena di The Untouchables ambientata alla Union Station di Chicago. Ma lo hanno fatto anche George Lucas in un episodio di Star Wars ( La vendetta dei Sith), la Disney (una citazione seminascosta nella Bella e la bestia) o il regista sperimentale, Zbigniew Rybczynski che inSteps (1987), grazie alle tecnologie video, inseriva un gruppo di turisti contemporanei aggirarsi letteralmente tra le inquadrature del film sovietico.In anni recenti nuovi studi, tra cui quello di Antonio Somajni ( Ejzenstein. Il cinema, le arti, il montaggio, Einaudi) hanno riconsegnato un’idea fresca del suo cinema, collegando il concetto di “montaggio” a una maniera di vedere il mondo, di ricomporne i frammenti per giustapposizione, tipica delle avanguardie novecentesche, dalla poesia all’arte figurativa (il cubismo, la pratica del collage) ma anche di teorici come Walter Benjamin o Aby Warburg. Tutti “montatori” visionari, ciascuno a suo modo.Due anni fa è uscito un film di Peter Greenaway sul soggiorno messicano del regista (e la sua scoperta dell’omosessualità), che lo trasformava in una specie di antenato del videoclip. E forse nell’epoca di youtube e delle realtà virtuali o aumentate, il suo lavoro sulla combinazione delle immagini, sull’idea di attrazione e di shock, sul coinvolgimento dello spettatore e poi sulla sperimentazione tra musiche e suoni, tra concetti astratti e racconto, ha qualcosa di inaspettatamente nuovo da dire.