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 2017  novembre 18 Sabato calendario

La doppia vita di Moore il molestatore devoto. Il candidato senatore in Alabama, accusato di abusi, spacca i repubblicani

Lo conoscevano bene, nel centro commerciale di Gadsden in Alabama, Roy Moore, quel dignitoso e pio avvocato di mezza età, autorevole procuratore della contea di giorno e razziatore di ragazzine alla sera. Lo conoscevano talmente bene che la direzione del mall, dopo dozzine di denunce di ragazze infastidite dalla sua marcatura stretta, dalle sue mani lunghe, dagli appostamenti fuori dai bagni delle donne, decise di proibire l’ingresso al procuratore Roy Moore. In un’altra galassia lontana lontana la carriera di questo abominevole uomo del centro commerciale sarebbe finita lì. Ma non in Alabama, nello stato fibbia della Cintura della Bibbia, nella terra della cristianità talebana dove basta avvolgersi nel burqa del fondamentalismo religioso più torvo ed esaltato per sopravvivere e prosperare.Anche nell’alluvione di rivelazioni, denunce, memorie pregresse, forse vendette che stanno tracimando dalla diga infranta dell’omertà e del silenzio delle donne per investire uomini famosi di ogni colore e posizione politica come ora il senatore democratico molto politicamente corretto, Al Franken del Minnesota, il caso del “Giudice Moore” – che poi giudice non è perché la Corte Suprema dell’Alabama lo ha “spretato” – racconta una storia estrema. Narra di un impasto tossico di politica, di ipocrisia, di prepotenza e di calde notti rese ancora più roventi dall’esplosione della Supernova Trump, dell’Uomo Che Afferrava Le Donne. Il repubblicano Roy Moore, che a 70 anni era arrivato a poche settimane da una scontata elezione al Senato, ora annaspa nei sondaggi. Ma se le ormai sei denunce di donne oggi adulte che ricordano i dettagli più sordidi del predator travestito da profeta dell’Antico Testamento sono fondate, quello di Roy Moore è un altro classico episodio da Dr. Jekyll e Mister Hyde, una doppia vita. È il “poster child”, il moralista che fulmina di giorno depravazione e perversioni che poi pratica di notte, sentendosi al di sopra della morale che predica agli altri.Il suo curriculum è esemplare. Studente all’Università dell’Alabama fino alla laurea in legge. Cadetto all’Accademia di West Point. Procuratore di piccole contee, poi giudice e su, fino a uno scranno nella Corte Suprema dello Stato. E sempre agitando quella interpretazione della cristianità intossicata di odio razziale, di esclusivismo bianco, di fobie, di disgusto per gli altri, di integralismo. Due volte fu cacciato dalla sua poltrona di magistrato, la prima per avere rifiutato di sposare una coppia gay osservando la legge, la seconda per avere voluto erigere nello spiazzo davanti al tribunale un lastrone con le tavole con i dieci comandamenti, trasformandolo in un tribunale religioso, in una versione cristiana della Sharia, in oltraggio alla separazione fra credo religiosi e costituzione. «La legge viene da Dio», predicava, appunto. «Se avessimo seguito la legge di Dio non avremmo subito l’11 Settembre».Poi, la notte. Nel buio arriva la ragazza quattordicenne premurosamente accompagnata a casa e rassicurata dalla garanzia della toga, dirottata nelle strade solitarie di campagna. Le mani dappertutto, nelle mutande, sul suo corpo acerbo paralizzato dalla paura, dall’imbarazzo, dall’incomprensione. La colluttazione per piegare la sua testa nel grembo del giudice eccitato, accompagnata dal giurisprudenziale monito: «E poi non dire niente perché nessuno crederà alla parola di una ragazzetta contro quella di un magistrato». E poi le scorribande nello shopping mall, luogo di ritrovo dei teenager della contea. E poi la lacerazione nel mondo degli evangelici, dei fedeli a un Dio che salva chi a Lui si affida, ma non necessariamente perdona. E riserva, come dice Ivanka, convertita alla fede per il severo Dio degli ebrei, «un posto particolare per chi molesta i bambini».Moore resiste, nega, recalcitra. Respinge gli appelli della leadership repubblicana da Washington che lo scongiura di ritirarsi, per non regalare l’Alabama ai Democratici e con essa il Senato, oggi appeso ad appena due seggi. Trump, condizionato dal suo ideologo Bannon che di queste “Kultur Krieg”, di queste guerre culturali fra “noi” e “loro”, è l’istigatore nel suo anarco- fascismo, trattiene i tweet mentre i democratici, ancora invischiati nel ricordo del catenaccio attorno a Bill Clinton annaspano nel sospetto dell’ipocrisia che gli torna in faccia. I repubblicani dell’Alabama difendono il razziatore di centri commerciali, per non darla vinta all’esecrato establishment, alla “casta” washingtoniana e nella crisi di nervi arrivano a difendere Moore sostenendo che anche Giuseppe il Falegname di Nazareth aveva sposato un’adolescente Maria eppure era diventato “il genitore di Gesù”. Affermazione teologica che altri pastori hanno trovato abominevole. Neppure il più accanito nemico del cristianesimo ha mai potuto sostenere che Giuseppe molestasse le bambine negli shopping center della Galilea.