Corriere della Sera, 18 novembre 2017
Piccolo manuale per politici «costretti» alle coalizioni
Si leggono parole come colla, tessitura, cucitura. Sono segni di distensione, forse anche di dialogo tra le forze politiche? La frammentazione, accentuata da una formula elettorale proporzionale, costringe a cooperare. Dobbiamo abbandonare l’idea di una democrazia maggioritaria, dell’alternanza, e ritornare alla democrazia consensuale, consociativa. Questo vuol dire gareggiare nelle piazze (e principalmente sul web) per scegliere i rappresentanti, per poi raggiungere accordi per la formazione del governo, come si fa in tanti altri Paesi europei.
M a a quali condizioni si può stringere anche in Italia un governo di coalizione? Condizione preliminare è che i contraenti marcino uniti: se vogliono federarsi con altri, non possono essere disuniti in casa propria. Bisognerà, quindi, cercare di smussare gli angoli, sforzarsi di abbassare i toni, lasciare da parte i temi di rissa.
Occorre, poi, non limitarsi a «cornetto e caffè», altrimenti si finisce come col patto del Nazareno: gli accordi richiedono analisi, negoziati, «tira e molla», stesura di patti chiari e dettagliati.
Ancor più importante è saper chiudere le porte alle proprie spalle, per lavorare sul futuro, come ha giustamente osservato Arturo Parisi. Se si chiede di abolire questa o quella legge passata, si pongono le premesse per la rissa, non per l’accordo. Il «coalition building» richiede la capacità di guardare avanti, anche per fare proposte nuove a un elettorato stanco di conflitti e desideroso di vedere fatti. Anche per questo motivo, bisogna evitare di fare prove di coalizione «ante litteram», per esempio sulla legge di Bilancio. Questo spingerebbe alla spartizione e sarebbe miope, perché una coalizione per governare dovrebbe avere come protagonisti i partiti di oggi, ma i parlamentari di domani.
Forze politiche che sappiano guardare avanti dovrebbero, poi, anche avere l’intelligenza di togliere dal tavolo delle trattative i temi oggetto di contenzioso. Un buon politico sa quando è necessario «decidere di non decidere», conosce l’arte del rinvio, sa quando accantonare ciò che divide o è irrealistico tentare, oltre a intuire quando è necessario il compromesso. Togliatti accantonò la questione istituzionale e votò l’articolo 7 della Costituzione.
Ma un accordo che possa essere duraturo richiede una condizione ancor più importante: scegliere una proposta politica non divisiva, di grande richiamo, che costituisca una sollecitazione per la nazione, che riguardi tutti, rispondendo a un bisogno latente. Serve un’alleanza che si stringa intorno a una «platform». E questo oggi si può declinare solo intorno a un tema: la scuola. Essa non riguarda soltanto le persone in età scolare, perché c’è bisogno anche di una formazione degli adulti, considerato l’analfabetismo di ritorno. La scuola è stata al centro dell’attenzione delle tre grandi tradizioni storiche italiane, quella liberale, quella cattolica e quella socialista. La scuola riguarda tutte le famiglie. Della necessità di un grande investimento pluriennale per la scuola nessuno dubita.
Definite le strategie, occorrono anche buone tattiche. Chi dovrà domani dialogare e accordarsi non può permettersi il lusso di non avere attenti «sherpa» che sondino il terreno e preparino i negoziati. Chi pensa di fare una coalizione non deve temere l’opposizione di chi resta fuori. Gli accordi in politica sono fatti anche per escludere, senza rincorrere i temi degli esclusi. Infine, gli «stati maggiori» di chi deve disegnare accordi duraturi non possono essere pieni di troppi generali a cinque stelle. La fase difficile che si apre non ha bisogno di persone di gran tonnellaggio, ma di politici lucidi, animati dallo scopo comune, non da umori, sentimenti, rancori.