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 2017  novembre 17 Venerdì calendario

La regina della vetrina

Lo scrittore Michel Tournier definì una volta la sua amica la Reine Mage, la regina maga. E non esagerava: Leïla Menchari deve avere una bacchetta magica nascosta in una tasca. Anticipando di decenni Harry Potter e il binario 9 e tre quarti alla stazione di King’s Cross, Leïla ha aperto dal 1978 un varco verso altri mondi nel cuore di Parigi. Per la precisione al civico 24 del Faubourg Saint-Honoré, angolo rue Boissy d’Anglas, a metà strada tra Madeleine e Concorde. Anche il più distratto dei babbani (o dei passanti) non può non accorgersene: quei due metri quadrati e mezzo non sono soltanto una vetrina, ma uno squarcio verso un universo di sete, marmi e maragià, di struzzi piumati e impagliati, di topolini veri e zigzaganti tra spighe di grano, sabbia di Tunisia, corna di renne, chicchi di caffè. 
Non ci sono mai state targhette col prezzo in quella vetrina, anzi, non c’è proprio mai stato niente che fosse in vendita: per quello bisognava varcare la soglia del negozio e rituffarsi nel mondo reale. «Io non ho mai venduto niente. Tutti gli oggetti che mettevo nelle mie vetrine non erano fatti per essere venduti, erano pezzi unici, realizzati nel mio atelier per il mio decor. Questo è stato il lusso che ho trovato da Hermès», spiega con la voce calda della Tunisia natale e appena un po’ arrochita dall’età madame Manchari, 90 anni e un’eleganza intatta. 
ISPIRAZIONI
Una maga? Meglio ancora, dice lei: una realista. «Ho sempre voluto e cercato la verità. Mi è capitato di essere surrealista, ma sempre con cose reali, che la gente potesse riconoscere. Ho cercato di sorprendere per prima me stessa. Volevo realizzare qualcosa di inaspettato, insolito, sorprendente, ma che soprattutto dicesse qualcosa alla gente».
Le borse-icona della Maison, la Kelly o la Birkin diventavano di organdi o di marmo nel magico mondo di Menchari. Le pellicce si tingevano di rosa, la seta dei foulard si trasformava in ragnatele giganti. 
Ufficialmente, Leïla è stata per 35 anni la vetrinista di Hermès, e la responsabile della tavolozza dei colori delle sete della Maison. È andata in pensione anche i maghi si stancano una decina di anni fa, e oggi i suoi mondi di borse e meteoriti (se ne fece costruire una in acciaio che roteava nell’aria dallo scultore Albert Féraud) entrano di diritto al museo. La mostra Hermès à tire-d’aile, (sottotitolo: I mondi di Leïla Menchari), offre fino all’8 dicembre al Grand Palais un viaggio attraverso otto vetrine, altrettante scenografie oniriche, scelte tra le 138 realizzate in 35 anni. 
L’ingresso è gratuito, regalo di Hermès: se per la Birkin o per un carré di cachemire ci vogliono migliaia di euro, i sogni non si comprano. Leïla ricorda tutte le vetrine che ha creato, ogni dettaglio, ogni sfumatura, ogni profumo: «non posso dimenticare i miei bambini». Quando il sipario si alzava sulle sue creazioni al 24 del Faubourg Saint-Honoré (quattro volte l’anno, a ogni stagione), era un evento: il patron, (prima Jean-Louis Dumas, poi Axel e Pierre-Alexis Dumas) i dipendenti, gli artigiani e i fortunati passanti si assiepavano sul marciapiede davanti alla vetrina come una platea davanti a un palcoscenico. 
SENTIMENTI
«Un anno, ero ancora un bambino ricorda l’attuale direttore artistico Axel Dumas il sipario si alzò e vedemmo un topo un topo vero, vivo correre in mezzo alle spighe di grano. Era quello voleva Leïla: provocare stupore e sogno. Ricordo che mio zio era anche abbastanza preoccupato per il negozio, se il topo fosse scappato». Leïla ne ride ancora oggi. «Una vetrina è un modo di raccontare una storia, ci sono tanti modi di narrare. La vetrina è stata per me un teatro. Di scenografie ne avevo create tante alle Belle Arti, ma questo teatro era molto più difficile, il più difficile: non c’è testo, non c’è movimento, non c’è distanza. Bisogna saper fare tutto: disegnatore, pittore, compositore e regista».
Leïla è sempre elegantissima, eccentrica, sognatrice. Solo un po’ stanca. Il suo rifugio, è rimasto il primo: quel giardino sul mare a Hammamet, dove, bambina di dieci anni, figlia di genitori intellettuali e liberali (sua madre fu la prima donna tunisina a scoprirsi i capelli), capitò per caso. Doveva recapitare un biglietto da parte dei suoi, sbagliò cancello, scoprì un paradiso lussureggiante, una foresta rubata alla spiaggia, fichi, yucche, cactus, papiri. I proprietari erano una coppia di inglesi, Violet e Jean Hanson, che si erano trasferiti in Tunisia dopo la prima guerra mondiale. Alla loro morte, lasciarono a lei quel paradiso. Lì ha ricevuto negli anni i suoi amici, Luchino Visconti, Jean Cocteau, Diego Giacometti, Alberto di Monaco Oggi è sempre un paradiso pieno di profumi e colori. Dicono anche che ci vivano venti pavoni. Chissà se è vero, con Leïla, il confine tra realtà e sogno è un filo di seta.