la Repubblica, 17 novembre 2017
Codice da Vinci, il mistero dietro l’asta dei record
Più che un Leonardo, mercoledì notte da Christie’s a New York, è stata venduta un’idea di Leonardo. E per una cifra da record assoluto: 450,3 milioni di dollari. Il “Salvator Mundi” adesso è l’opera d’arte battuta all’asta più costosa della storia. Ha superato – e di tanto – “Donne di Algeri” di Pablo Picasso, aggiudicata per 179,4 milioni nel 2015. Che sia un da Vinci autentico è tutto da dimostrare. L’attribuzione resta controversa. E, ai fini della grande macchina del mercato dell’arte, ormai, non è nemmeno così importante. L’olio su tavola (45 centimetri x 65), privo di documenti certi e di una firma, è protagonista di una storia travagliata. Ma una perfetta sceneggiatura hollywoodiana ha vestito questo quadro del glamour necessario perché entrasse nel guinness. Non è un particolare il fatto che, per la prima volta, un dipinto del genere non si trovasse in vendita tra i lotti degli Old Masters, ovvero i maestri della pittura antica e moderna (qui il primato finora era di Rubens con La strage degli innocenti: 76,7 milioni di dollari nel 2002). Christie’s ha preferito lanciarlo tra i contemporanei, tra un’Ultima cena sì, ma di Andy Warhol, e un Basquiat, nella notte della tradizionale Postwar Sale d’autunno, quella che catalizza l’attenzione dei collezionisti milionari di tutto il mondo, molto più interessati ad acquistare il Novecento che il Rinascimento. C’erano tutti, a partire da Eli Broad e Michael Ovitz da Los Angeles, passando per il gallerista-mercante Larry Gagosian. Nei giorni dell’esposizione che ha preceduto la vendita e che, prima di New York, ha fatto tappa a Hong Kong, San Francisco e Londra c’erano stati anche Jennifer Lopez e Leonardo DiCaprio. L’attore che porta lo stesso nome del genio rinascimentale sarebbe pronto anche a interpretarlo, visto che la Paramount ha acquistato i diritti della biografia di Walter Isaacson, che aveva già raccontato la vita di Steve Jobs. C’è tanto storytelling, più che storia dell’arte in questa vendita. Ma andiamo per gradi. Da dove arriva il Salvator Mundi?
Nella collezione reale di Windsor due studi a matita rossa di Leonardo raffigurano parte della stola e del braccio benedicente di Cristo. Questa è una traccia certa. Da Vinci realizza anche il dipinto, oltre ai disegni? Nel 1650 Wenceslaus Hollar pubblica un’incisione che raffigura un Salvator Mundi: un Cristo a mezzo busto che benedice con la mano destra e regge un globo terrestre con la sinistra. Sarebbe questa la riproduzione di un quadro già nella collezione del re Carlo I d’Inghilterra, quello fatto decapitare da Cromwell. La stessa opera sarebbe passata a fine Ottocento nella raccolta Cook di Richmond Hill, Londra. Ma non tutti gli studiosi concordano sul fatto che sia quella appena battuta all’asta a New York. Questa, di certo, è la stessa che Sotheby’s vende nel 1958 per 50 dollari.
Nel 2005 riaffiora sul mercato in Louisiana: per meno di diecimila dollari viene comprata da tre mercanti americani: Warren Adelson, Alexander Parish e Robert Simon. Qui comincia la sua trasformazione. Si sa che la tavola, creduta una copia di bottega, è in cattive condizioni: presenta più ridipinture e barba e baffi del Cristo aggiunti sulla pittura originale. Non sembra simile all’incisione seicentesca che fa riferimento a Leonardo. I nuovi proprietari la sottopongono a un restauro, firmato da Dianne Dwyer Modestini, nota per i suoi interventi massicci.
Dopo il make up, sale l’interesse degli storici dell’arte. L’occasione è la mostra del 2011 alla National Gallery di Londra, Leonardo da Vinci: Painter at the Court of Milan. Nella scheda in catalogo che riguarda il Salvator Mundi, il curatore Luke Syson scrive: «Il dipinto ha sofferto». Viene inoltre sottolineato come la tavola sia stata ripulita aggressivamente e si fa riferimento all’abrasione sulla superficie, «soprattutto visibile sul volto e sui capelli del Cristo». Questi particolari, però, non impediscono l’attribuzione sostenuta da massimi studiosi di Leonardo come Pietro C. Marani, Martin Kemp, Maria Teresa Fiorio, Carmen C. Bambach.
Intanto, le quotazioni salgono. Nel 2013, due anni dopo l’esposizione londinese e l’assegnazione a Leonardo, Sotheby’s vende privatamente il quadro per 80 milioni di dollari a Yves Bouvier, mercante svizzero e uomo d’affari. Questi, a sua volta, lo cede all’oligarca russo Dmitry Rybolovlev per 127,5 milioni di dollari. Da qui il rilancio di Christie’s e il tour promozionale dell’ultimo Leonardo rimasto in mani private: “the male Mona Lisa”, la Monna Lisa maschio, si azzarda a definirlo qualcuno.
Per lo storico leonardesco Carlo Pedretti, contrario all’attribuzione fin dal 2011, invece, si tratta di una «sofisticata operazione commerciale che ha lanciato come originale nel mondo dell’arte un Leonardo che originale non è». Nell’abbottonato mondo dell’arte pochi si pronunciano apertamente contrari. «Stiamo parlando di un’opera frutto per il 45 per cento di restauro: è impossibile da decifrare», dice qualche bene informato.
«Con i quadri spettacolari di Leonardo agli Uffizi, e considerando anche i leonardeschi, il Salvator Mundi non sarebbe stato un acquisto interessante per noi», risponde Eike Schmidt, direttore del museo di Firenze. Dal Met di New York preferiscono non commentare. I grandi musei sono rimasti fuori dallo show di Christie’s. Anche il neonato Louvre di Abu Dhabi. Il match del collezionismo si è disputato tra Stati Uniti, Cina – si sussurra del miliardario Liu Yiqian, fondatore del Long Museum di Shanghai – e probabilmente il Qatar, dove sono approdati già (con acquisti privati) Gauguin e Cézanne da 300 e 250 milioni. Se qualcuno parlava di mercato dell’arte in crisi, il Salvator Mundi ha davvero fatto il miracolo.