Corriere della Sera, 17 novembre 2017
Prodi parla di Cina con Gentiloni. E spera che la sinistra non imploda
E Romano Prodi? Viaggia. Da domenica tappe di studio e di incontri tra Stati Uniti, Cina, Russia. Poi una puntata in Albania: così fino al 6 dicembre. E domani se ne andrà nella sede romana di Civiltà cattolica, la rivista dei gesuiti, a parlare dell’anima della Cina col direttore padre Antonio Spadaro, con l’ex direttore della sala stampa vaticana, Federico Lombardi. E con Paolo Gentiloni. In questa fase sembra lui, il presidente del Consiglio, il vero interlocutore del fondatore dell’Ulivo, ex premier e ex capo della Commissione europea. In privato, Prodi ne parla come una persona garbata, competente, in grado di rassicurare. E con la quale discutere: anche se più di politica estera che interna.
I tormenti della sinistra, almeno in apparenza, sono lontani. Il fondatore dell’Ulivo li osserva con la tranquillità di chi ha provato a lenirli, senza successo, nel giugno scorso. Allora dovette gettare la spugna perché l’odio politico reciproco tra il Pd di Matteo Renzi e gli scissionisti di Articolo 1-Mdp era troppo denso. Allora ammetteva di sentirsi una sorta di confessore inascoltato. Ma adesso, a quattro mesi di distanza, l’esigenza di una mediazione si ripropone; e in modo più drammatico. Dopo aver rinunciato al ruolo di «colla», e dopo avere dimenticato la sua «tenda» un tempo piantata ai margini del centrosinistra, Prodi aspetta con fiducia che qualcuno la ritrovi; che altri riescano dove lui ha fallito.
Rispetto al suo tentativo, sa che oggi il Pd e quelli che si raffigurano come «alleati separati» viaggiano verso una quasi certa sconfitta elettorale. Hanno approvato a colpi di fiducia un sistema elettorale funzionale più alle alchimie del centrodestra che a quelle di una sinistra divisa. In teoria, l’urgenza dovrebbe spingere a mostrare maggiore saggezza e minori risentimenti reciproci in vista del voto del 2018. Dovrebbe, perché l’alternativa che si profila sarebbe il suicidio collettivo di una sinistra destinata a non incontrarsi nemmeno dopo una disfatta.
Le insidie della mediazione che Piero Fassino sta tentando per conto del segretario dem sono evidenti: certificare l’impossibilità di un accordo scaricherebbe le divisioni su chi ha detto «no». Ma rischia di compromettere qualunque riappacificazione anche a urne aperte. I sondaggi sono appena cominciati, è vero. E da quanto è dato di capire, Fassino, che con Prodi ha avuto in passato una lunga consuetudine al governo, si è trovato di fronte un interlocutore attento a qualunque iniziativa in grado di spezzare la spirale della frammentazione e dello scontro.
Il Pd accredita una situazione nell’area dell’«altra sinistra» tuttora in bilico. Con il presidente del Senato, Pietro Grasso, ancora incerto se accettare la guida di fatto di una nuova formazione chiamata a unire pezzi di sinistra e di associazionismo cattolico: sebbene i sondaggi gli attribuiscano, a sorpresa, indici di gradimento non inferiori a quelli dei leader del Pd. Ancora, si dice che la presidente della Camera, Laura Boldrini, sia in attesa di capire che cosa farà alla fine l’ex sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, col suo Campo progressista. Boldrini deciderà solo tra qualche settimana, irritata comunque dagli attacchi dei dem per la presa di distanze sua e di Grasso dal loro partito: anche perché non ne ha mai fatto parte.
Da quanto ha detto finora, tuttavia, sembra difficile che si schieri con Renzi: l’elettorato deluso dalla sinistra non lo capirebbe. Quanto ai radicali di Emma Bonino, non hanno sciolto le loro riserve. Il fatto che dopo il primo giro di consultazioni ce ne possa essere un altro, in qualche caso con lo stesso Renzi nel ruolo di interlocutore, semina reazioni contrastanti. Sottovoce, alcuni degli esponenti politici e istituzionali sondati in questi giorni liquidano l’operazione come un tentativo velleitario.
Al fondo riaffiora la diffidenza verso il segretario.«Va tutto bene quello che dici. Ma ci puoi garantire che Renzi manterrà gli impegni?», dicono a Fassino quando illustra i passaggi della possibile ricucitura a sinistra. Prodi osserva, e aspetta di vedere quale sarà la ricaduta finale. Ma chissà, forse già lo immagina. Per questo preferisce cercare di capire dove sta andando il mondo: una cosa che l’Italia ha smesso di fare da troppo tempo, ripiegata sulle sue beghe interne.