Il Sole 24 Ore, 17 novembre 2017
Merkel, ultime ore per l’accordo. Migranti e ambiente gli ostacoli più difficili per la nascita della coalizione Giamaica
Sul tavolo dell’ultimo round di negoziati preliminari per decidere se avviare la trattativa vera e propria per la formazione del nuovo Governo tedesco, le delegazioni dei quattro partiti hanno trovato ieri sera una bozza di 61 pagine nella quale i punti di disaccordo pesavano di più delle intese.
Tre settimane di colloqui fra i pletorici team dell’Unione democristiana (la Cdu del cancelliere Angela Merkel e i gemelli bavaresi della Csu), dei liberali della Fdp e dei Verdi hanno condotto per ora, quasi due mesi dopo le elezioni del 24 settembre, a un punto in cui la nascita del Governo Giamaica (dai colori nero-giallo-verde dei partiti e della bandiera del Paese caraibico) non è affatto un risultato scontato. Finora zitta, come suo costume, la signora Merkel ha rotto il silenzio ieri per dichiarare che la trattativa è molto difficile, ma anche per l’abituale richiamo alla responsabilità verso il Paese e per affermare che un successo è possibile. Il suo compagno di partito, Daniel Guenther, governatore della regione dello Schleswig-Holstein, si è spinto a rispolverare lo slogan di scarso successo del cancelliere ai tempi della crisi dei migranti. «Wir schaffen das», ce la possiamo fare. Il quotidiano popolare Bild segue sul suo sito web la vicenda con un live blog, minuto per minuto, come fosse una partita di calcio.
Il più potente incentivo a chiudere positivamente la prima fase del negoziato (si prevedeva ieri che potesse continuare fino all’alba di stamane), per poi far partire la trattativa vera e propria sul programma e la composizione del Governo, è non solo la voglia dei liberali e dei Verdi di sfruttare l’occasione per tornare al potere, ma soprattutto l’assenza di vere alternative: la riproposizione di una grande coalizione fra democristiani e socialdemocratici della Spd è stata esclusa da questi ultimi, pochi minuti dopo la chiusura delle urne. La creazione di un governo di minoranza democristiano o nuove elezioni non avrebbero precedenti nella storia politica tedesca del dopoguerra e un ritorno al voto favorirebbe la protesta contro i partiti tradizionali, a vantaggio di AfD, il movimento anti-euro e anti-immigrazione che a settembre ha superato il 12%.
A dar vita agli scontri più accesi sono stati finora i Verdi e la Csu, entrambi alle prese con seri problemi interni. Gli ecologisti sono da sempre spaccati fra un’ala più pragmatica e una più rigida sulle questioni ambientali e i negoziatori del partito sono già stati accusati da quest’ultima di non aver spinto abbastanza sulle questioni legate al clima e all’energia. La richiesta di limiti precisi all’uso del carbone e dei motori diesel per ora non ha fatto passi avanti nel negoziato. Un intervento di Greenpeace ha dato man forte alle critiche. Per di più, il congresso del partito, il prossimo 25 novembre, dovrà approvare ogni intesa che esca dai colloqui e rischia di far esplodere la frattura.
La Csu è alle prese con il crollo dei consensi in vista delle elezioni regionali del prossimo anno in Baviera: i sondaggi la danno ben al di sotto del 40%, un minimo storico clamoroso per un partito abituato a dominare. I cristiano-sociali non intendono fare passi indietro sull’immigrazione (da tempo, in disaccordo con la stessa Merkel, sostengono un tetto di 200mila persone l’anno), sul quale sono più vulnerabili agli attacchi di AfD. La Csu si oppone anche al ricongiungimento delle famiglie, su cui Cdu e Verdi sono più aperturisti.
Ambiente e immigrazione sono appunto i «macigni», come li ha definiti un negoziatore, tanto da spingere ai margini della trattativa le questioni europee, su cui pure non c’è intesa e dove la linea più dura è sposata dalla Fdp.
Fra le proposte del presidente francese, Emmanuel Macron, per la riforma dell’Eurozona, con cui il prossimo Governo tedesco si dovrà confrontare, la creazione di un bilancio per comune incontra scarsi entusiasmi, anche se la Cdu vede la possibilità di un suo uso ben delimitato, e anche il Fondo monetario europeo come successore del fondo salva-Stati Esm, che pure è un’idea tedesca, incontra scetticismi.
Qualche spiraglio potrebbe venire se il leader liberale Christian Lindner decidesse di rinunciare alla poltrona di ministro delle Finanze e si insediasse il più stretto alleato del cancelliere, Peter Altmaier, che sta reggendo l’incarico a interim e si dichiara da sempre un forte sostenitore dell’asse franco-tedesco, oltre a essere un politico più incline al compromesso.