Il Sole 24 Ore, 17 novembre 2017
Genova scossa dal declino che ora pare inarrestabile. Il legame storico di Carige con cittadini, piccoli soci e dipendenti
Era la banca in cui si sentiva parlare in genovese. E che i genovesi riconoscevano come parte integrante della città. Quasi un simbolo da affiancare alla Lanterna. Reminiscenza, quest’ultima, dell’antica e Superba repubblica marinara ed emblema, la banca, di un decaduto forse, ma non ancora sopito, spirito mercantile e imprenditoriale. Carige, che sta per Cassa di risparmio di Genova e Imperia, con le sue origini radicate nel Medioevo (nasce nel 1846 ma assorbendo il Monte di pietà di Genova, fondato nel 1483) ha storicamente raccolto i risparmi di generazioni di liguri. Ed è stata la banca delle imprese e della borghesia ma anche del popolo di Genova.
Un ruolo che l’istituto ha continuato a ricoprire almeno fino al 2014 ed è bruscamente finito con la defenestrazione dal cda, e poi l’arresto per truffa, di Giovanni Berneschi, il padre padrone di Carige, rimasto ai suoi vertici per 25 anni. Da quella scossa, che ha rappresentato una doccia fredda ma anche una sorta di sveglia per chi non si era accorto (o fingeva di non accorgersi) di quanto l’istituto fosse sommerso da crediti in sofferenza, i genovesi hanno cominciato ad allontanarsi dalla banca. È iniziata una lenta ma costante emorragia di correntisti ma, quel che è peggio, si è incrinata la considerazione e la fiducia che la gente aveva nella solidità di Carige.
Solidità che era data per scontata non solo dai piccoli risparmiatori ma dagli stessi dipendenti ed ex dipendenti dell’istituto. Che non hanno esitato, negli anni, a comprare le azioni di Carige e perfino a impegnare, sui titoli della banca, in parte o del tutto, il Tfr. Due aumenti di capitale l’uno a breve distanza dall’altro per complessivi 1,6 miliardi e la discesa costante, nonostante le ricapitalizzazioni, del valore del titolo hanno però fiaccato anche i più fedeli sostenitori di Carige.
Lo testimonia efficacemente Silvio De Secondo, presidente dell’Associazione piccoli azionisti dell’istituto. «I piccoli azionisti sono clienti della banca, operatori economici, dipendenti o ex dipendenti. C’è un legame molto forte con Carige e ai primi due aumenti di capitale c’è stata un’adesione molto elevata. Per questo nuovo aumento però (quello da 560 milioni proposto dal cda guidato dall’ad Paolo Fiorentino, ndr) c’è molta preoccupazione che può sfociare in un defilarsi, anche se non totale, di quelli che hanno partecipato ai primi due aumenti».
Alessandro Cavo, vicepresidente vicario di Ascom-Confcommercio e presidente di Fepag (la federazione dei pubblici esercizi ) spiega che «Carige era considerata dai commercianti un’istituzione era la banca del commercio e del lavoro di Genova, dei negozianti, quella di cui avevi il Pos; il luogo dove incontravi il collega quando andavi a fare un pagamento. Passadore era la banca dei signori, Carige quella dei negozianti. Era un brand cittadino. Il mio bisnonno aprì lì il suo conto, quando arrivò a Genova. Quando è emerso lo stato di crisi dell’istituto, molti hanno pensato di cambiare banca. Speriamo che un imprenditore come Malacalza riesca a riportarla agli antichi fasti».
Maurizio Caviglia, segretario generale della Cciaa di Genova completa il quadro: «Una banca territoriale, come Carige, è uno degli elementi più importanti dal punto di vista del marketing del territorio stesso e poi è un punto di riferimento sia per le imprese, che per le associazioni di categoria, che per i Confidi. L’80% delle aziende faceva riferimento alla banca. La situazione ha iniziato a cambiare dopo il crollo della gestione Berneschi: sono andati in dissoluzione i rapporti diretti con imprese e territorio».
Il sindaco di Genova, Marco Bucci, da parte sua, non esita a manifesta preoccupazione per le ultime vicende di Carige. «Vedremo – dice – come evolverà la situazione. Restiamo vigili e seguiremo con attenzione ogni sviluppo della vicenda, vista l’importanza che Carige riveste per la nostra città».