Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  novembre 16 Giovedì calendario

L’ombra del pressing di Parigi per dettare l’agenda a Tripoli

Medici senza frontiere (Msf) resta ormai l’unica Ong a non aver firmato il codice di condotta voluto dal ministro Marco Minniti, per imporre una serie di regole alle associazioni che partecipano alle operazioni di salvataggio dei migranti nel Mediterraneo.
Un caso? E se fosse l’ennesima espressione della volontà di un Paese, la Francia di Emmanuel Macron, di avere un peso determinante sul destino della Libia?
Nella sede della casa madre quella firma non genera urgenza, né troppo interesse. «Del codice non gliene importa più niente a nessuno: fa parte del passato – osserva Michael Neuman, di Msf France -. Gli sbarchi sono calati. Ma mica grazie al codice delle Ong. La riduzione è dovuta al fatto che l’Italia e l’Europa hanno delegato alle milizie terrestri di Tripoli e ai loro guardacoste la gestione del flusso dei migranti. Con le conseguenze che conosciamo: decine di migliaia di persone riportate in prigioni e campi in Libia, dove si tortura e si vive da schiavi». Va detto che per Medici senza frontiere è più facile non firmare, perché hanno ritirato la loro nave, la Vox Prudence, e continuano a operare con équipe a bordo dell’Aquarius, di Sos Méditerranée, Ong che il codice di Minniti invece l’ha sottoscritto.

In realtà, fonti vicine al dossier rivelano alla Stampa che Msf Italia sarebbe stata favorevole alla firma, ma che proprio da Parigi si sarebbe fatto pressione per impedirla. Neuman è il responsabile di Crash, unità di ricerca e riflessione di Msf France sulle crisi umanitarie. È una sorta di superconsulente in materia, che ha studiato da vicino anche la crisi nel Mediterraneo. «Non firmare il codice per noi è stata una questione di principio – continua -. L’Italia voleva mostrare i muscoli, serviva a quello. Veniva imposto alle Ong ed è stato giusto politicamente per noi non entrare neppure nel negoziato, che alla fine non esisteva».
Nel merito, Msf ha sempre contestato soprattutto il divieto del trasbordo di migranti da una nave all’altra, una delle regole volute da Minniti, «che rende i salvataggi più difficili – aggiunge Neuman -. Ma, ripeto, se gli sbarchi sono calati non è a causa del codice. Si è voluta attirare l’attenzione sulle associazioni. E intanto si impostava una politica di collaborazione con i libici di un cinismo incredibile».
È il cinismo che ha generato la reazione martedì di Zeid Radda Al Hussein, Alto commissario dell’Onu per i diritti umani, che ha attaccato Ue e Italia per il patto con la Libia, giudicato «disumano».
Va sottolineato che Al Hussein è in corsa per la rielezione a quel posto, per la quale avrà bisogno del sostegno dei francesi. E proprio da Parigi si scruta con attenzione il prossimo 17 dicembre, quando scadranno gli accordi di Skhirat: è l’intesa quadro sulla quale è stato strutturato l’assetto attuale della Libia, con il Consiglio presidenziale e il Governo di accordo nazionale, guidato da Fayez al Sarraj. Lui potrebbe uscirne fortemente screditato. Giustificando il ruolo di un certo Macron come mediatore.