Libero, 15 novembre 2017
C’è una bambola col velo: pure Barbie si piega all’islam
Barbie si è convertita all’islam, e non è sua la colpa. Una lucida operazione di marketing messa in atto dalla Mattel in crisi di vendite (-13% nell’ultimo semestre) ha imposto che la bambolina preferita da generazioni di fanciulle abbandonasse tacchi a spillo, scollature vertiginose e sogni di donna emancipata per infilarsi sotto un velo nero e dentro un’esistenza sottomessa ispirata ai dettami del Corano. Per rendere più digeribile l’operazione, la Mattel si è ispirata alla campionessa di scherma americana Ibtihaj Muhammed, la prima musulmana che si sia esibita nei Giochi Olimpici di Rio in tuta bianca da schermitrice e capo coperto conquistando un bronzo. Un’atleta che ha fatto della difesa dell’islam la sua ragione di vita e ha criticato l’Occidente per certe scelte e derive. Dal punto di vista delle vendite l’operazione è geniale, perché l’islamizzazione è un fatto assodato e consentirà alla Mattel di rimettersi in sesto e lavare l’onta di esser stata battuta a livello di incassi da un gioco abbastanza anonimo e opinabile come “Trouble toilet” (“tribolazioni di bagno” il nome italiano). Dal punto di vista dell’Occidente e di quel disegno di emancipazione e civiltà che in modi diversi e con sfumature diverse dovrebbe lambire ognuna di noi è un colpo al cuore.
Argomentiamo. La prima Barbie che ci hanno messo in mano aveva due tette grosse così, un vestitino sotto il ginocchio stile Audrey Hepburn e capelli biondi tirati a lucido e immobili. Poteva non piacere il sorriso statico e scontato, poteva dar fastidio quella perfezione rettilinea delle gambe che finiva in un culo compatto senza smagliature e senza slip (pensate l’oltraggio). E anche gli occhi, sempre grandi e sempre spalancati, erano un’esclamazione di estasi e ottimismo troppo esagerata per certe giornate buie. Ma era pur sempre la Barbie ed era perfetta dentro la Cabriolet rosa, la casa rosa e il bagno rosa a spartire sorelline e pranzi con quel monumento di muscoli e testosterone che era il mitico Ken. Poi venne l’età matura. Arrivarono i figli e anche il lavoro. Dapprima un insipido e non meglio precisato impiego d’ufficio e a seguire una carriera declinata a seconda dei sogni di ragazza. E dunque fu la volta della Barbie astronauta, giornalista, medico, candidata alle presidenziali, come e più di Hillary Clinton, persino soldato impeccabile nella guerra del golfo.
Avremmo potuto fermarci lì, senza neanche il bisogno di invocare quote rosa o battaglie femministe ché in fondo nel mondo magico di Barbie i maschi continuavano a essere la minoranza e tutti abbastanza insulsi e sfigati. Invece è arrivata la Barbie islamica, che ha una tuta da schermitrice olimpionica è vero, ma un velo opprimente che le copre i capelli e ne offusca bellezza e sogni. L’atleta che l’ha ispirata va in giro per il mondo a raccontare che è il suo «sogno di bambina dare alle ragazzine una bambola che scelga di portare il velo». Quale sogno. Quale scelta. Che bisogno c’era, andiamo, di mettere il velo a uno dei giochi più amati del mondo. La Barbie è un divertimento, una possibilità, un sogno, una parentesi ludica in un’età spensierata. Funziona se la lasci nella camerette dei giochi. O la metti in un museo (Milano l’ha fatto) e la ammanti di cultura. Le puoi infilare un calzino bucato sulla testa e fingere che sia una studentessa di ingegneria stralunata. O darle un vestitino di merletti e immaginarla Cenerentola al ballo del principe. Può essere mamma, figlia, amante, amica. Perfetta e algida negli abiti di Dior (o nel ritratto eterno di Warhol). Ma anche imperfetta e goffa nei modelli curvy e small che piacciono alle donne normali. Ma il velo è un’altra cosa, è una forzatura, la solita acquiescenza all’islam, il voler dire che quello è un modello e una via. Quale moto di libertà c’è in un viso di donna coperta dal velo? Quale sogno di ragazzina nelle parole di chi dichiara: «Ho fatto lo scherma e i miei genitori erano contenti perché la divisa mi copriva da capo a piedi»? Ibtihaj passerà alla storia per la sua forza di atleta e perché ha inseguito un sogno. Non perché ha messo il velo a una bambola. La libertà ha un altro sapore. La scelta insegue altri refoli e altri venti. E stiamo attenti. Perché oggi le hanno messo il velo. Domani le toglieranno i costumi femminili e i tacchi a spillo. E anche della macchina resterà un vago ricordo. È il politically correct. E lei è solo una Barbie. Ma avanti di questo passo rischia di non essere più un gioco.