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 2017  novembre 15 Mercoledì calendario

Pressing Usa sulle alleanze del M5S. Di Maio: l’Italia non cadrà nel caos.

WASHINGTON Nella piccola sala colazione del Normandy Hotel di Washington, davanti a un caffè americano e a un muffin ai mirtilli rossi che sembra preoccuparlo per l’esagerata quantità di calorie, Luigi Di Maio spiega le ragioni del suo viaggio: «Non vogliamo dare l’immagine di un’Italia isolazionista, non vogliamo che gli americani ci credano quello che non siamo. Dobbiamo rafforzare i legami che abbiamo e crearne di nuovi, dobbiamo aumentare la nostra influenza nel Mediterraneo». Il vicepresidente della Camera prova a essere rassicurante: «Sulla Nato non diciamo no all’innalzamento al due per cento del Pil come contributo degli alleati, ma vogliamo poter dire la nostra su come quei soldi vengono usati: preferiremmo lo fossero per investimenti in intelligence e tecnologia, più che per le armi». Sulla Russia: «Dev’essere chiara una cosa, gli Stati Uniti sono i nostri alleati, i russi interlocutori storici. Quando diciamo no alle sanzioni lo facciamo perché minano anche gli interessi del nostro Paese. E poi è importante che ci sia un nostro ruolo di mediazione, che la Russia non venga schiacciata verso il blocco asiatico. Nulla di più però. E di certo, nessun interesse ad avere aiuti dal punto di vista elettorale».
Di lì a poco lo viene a prendere l’ambasciatore italiano Armando Varricchio, che lo ha ospitato a cena lunedì sera e non lo lascia un secondo. Lo scorta dentro il dipartimento di Stato, gli mostra come fosse una guida la scalinata del Campidoglio. L’incontro con il vice-assistente del segretario di Stato per i rapporti con l’Europa, Conrad Tribble, è un fuoco di fila di domande su tutte le contraddizioni dei 5 stelle: euro, Nato, banche, la Russia appunto. Ma soprattutto: le prossime elezioni. Vuole sapere della legge elettorale, il funzionario americano. Di Maio spiega: «Alle politiche non è come in Sicilia, dove il nostro 35% con un’unica lista è comunque moltissimo. In primavera, se saremo la prima forza come pensiamo di essere, chiederemo il mandato al presidente della Repubblica». «Ma come governerete, come arriverete ad avere la maggioranza?», è la domanda di Tribble: «Non lasceremo l’Italia nel caos – ribatte il candidato premier M5S – sappiamo di assumerci una grande responsabilità e troveremo convergenze sui temi in Parlamento».
Esce convinto di aver fugato molte diffidenze, Di Maio, ma davanti alle domande dei cronisti è costretto a dire quello che gli alleati americani preferirebbero non ascoltare: «L’intervento dei nostri soldati in Afghanistan è insostenibile per la spesa pubblica italiana. Se andassimo al governo, ritireremmo le truppe». Una posizione netta che prova ad addolcire lodando la riforma fiscale di Trump: «È molto interessante. Fanno un po’ di deficit, investono nelle imprese, abbassano la tassazione e fanno ripartire l’economia». Le spiegazioni date a Tribble le dà anche a Steve Scalise, il “whip”, il capogruppo repubblicano – trumpiano – della Camera dei rappresentanti. Nella notte italiana (il pomeriggio della costa est) lo attendono incontri con italiani a Washington che lavorano nel comparto biomedico e in quello finanziario. Esponenti della Banca mondiale e della Fed che potrebbero non accontentarsi della versione – ripetuta qui fino allo sfinimento – «Vogliamo restare nell’euro ma rivedere i trattati, a partire dal 3% sul rapporto deficit Pil».