la Repubblica, 15 novembre 2017
L’amaca
Il de profundis sull’eliminazione dell’Italia è fuori dalle righe, come prevedibile. A rendere meno furente e meno addolorato lo spartito aiuterebbe la cognizione di quanto, nello sport come nella vita, si sia tutti in balia (anche) del Caso. Ho detto Caso ma un’altra parola sempre di quattro lettere, e sempre con la C iniziale, sarebbe perfino più precisa.
Talento e coraggio aiutano, ma non sempre bastano. Se il tocco di Ciro Immobile tra le gambe del portiere svedese avesse avuto una traiettoria appena divergente, ora le campane suonerebbero a festa in tutto lo Stivale e folle plaudenti festeggerebbero l’assunzione in Cielo. Le due partite con la Svezia sono state pienamente risolte dal fattore C, che ha deciso di dannare i mediocri azzurri e promuovere i mediocrissimi gialloblu. Di più mediocre c’è solo il coretto iracondo “andate a lavorare” che ora bastona gli sconfitti: ce l’hanno messa tutta, invece. Hanno sgobbato inutilmente. Non sempre esiste una colpa o una ragione, in caso di sconfitta, così come non tutte le vittorie arrivano per puro merito. Basta alle volte il refolo di vento, lo spigolo maligno, la distrazione minima a indirizzare una vita per il meglio o per il peggio. Saperlo servirebbe a rendere un poco più pietosi, un poco più rispettosi i giudizi.