Affari&Finanza, 13 novembre 2017
Cina, Trump, Europa: la disfida dei cieli
Ci sono Boeing e Airbus, i protagonisti di sempre, ci sono i canadesi e il loro Bombardier che hanno scatenato le ire della Casa Bianca, c’è la Cina di Xi e più in sottofondo la Russia di Putin. La guerra dei cieli per conquistare le quote del mercato dell’aviazione commerciale (che vale la bellezza di 200 miliardi di dollari l’anno) si è infiammata in autunno e rischia di esplodere nel 2018 in un conflitto mai visto prima: tra minacce protezionistiche, scontri Europa-Usa, accuse di dumping e riscorsi alla World Trade Organization (Wto). La scintilla l’ha fatta scoccare Airbus, quando a metà ottobre ha annunciato l’acquisto della quota di maggioranza (pari al 50,01%) del programma C-Series di Bombardier, i nuovi aerei a fusoliera ristretta (un solo corridoio per 100-150 posti) che hanno effettuato i primi voli nel 2016 (con Swiss Global e air-Baltic), molto richiesti per la loro efficenza energetica. Per Airbus un ottimo colpo, visto che non ha dovuto sborsare nulla (a parte un simbolico dollaro canadese) per una partnership (dal 2018) di cui Bombardier controllerà il 31% e il fondo Investissement Québec il restante 19 per cento. Un successo personale per Tom Enders, il sessantenne manager tedesco amministratore delegato di Airbus, che ha ricordato le potenzialità del programma C-Series (“non ho dubbi che la nostra partnership con Bombardier ne spingerà notevolmente le vendite e il valore”) nonostante le passate difficoltà (“il gruppo canadese è stato costretto a tagliare migliaia di posti di lavoro”) e ha convinto il mercato del buon successo dell’operazione grazie alla disponibilità finanziaria e alla capacità di marketing del gigante europeo. Un bel colpo sancito dai mercati (Airbus ha guadagnato il 4,5% alla Borsa di Parigi, Bombardier è schizzato del 20 per cento a Toronto), che hanno visto con favore il rilancio di Bombardier e il più che possibile exploit dei prossimi due decenni con la vendita di 6mila aerei (in dieci anni sono stati venduti solo 360 jet della C-Series), ma che ha fatto infuriare gli storici rivali della Boeing nonché la Casa Bianca di Donald Trump. Poco importa se dal prossimo anno gli aerei della C-Series verranno assemblati anche in un impianto (già esistente) della società canadese a Mobile (Alabama): le reazioni fuori controllo dell’America First di The Donald e le incertezze sui posti di lavoro americani hanno reso l’accordo con Airbus subito un caso politico, con la Boeing che ha contestato l’accordo e con gli Stati Uniti che hanno accusato la società di Montreal di “svendere i suoi aerei sul mercato degli Stati Uniti”. Un’irritazione, quella della Casa Bianca e di Boeing, raddoppiata dal fatto che tra i compratori dei C-Series c’era anche Delta Air Lines, la seconda compagnia aerea del mondo (dopo American) che ha ordinato 75 jet della linea “ecologica”. Uno scontro economico-politico che ha spinto la Casa Bianca a proporre super-tariffe sui C-Series importati negli Usa, aprendo una disputa che vede coinvolto non solo il governo canadese del presidente Trudeau ma anche quello britannico, visto che le ali dei jet sono prodotte a Belfast, in Irlanda del Nord, dove Bombardier è il più grande datore di lavoro. Con l’assemblaggio nella fabbrica in Alabama – dove Airbus già produce gli aerei A320 per le compagnie aeree degli Stati Uniti – l’azienda europea e l’alleata canadese sono convinte però di poter bloccare le ventilate tariffe, impedendo al governo Usa di metter in pratica le proprie minacce. Una scelta, quella dell’Alabama che ha irritato ancora di più la Boeing, tanto che il gruppo americano ha pubblicato una nota di protesta: «Sembra un accordo discutibile tra due competitor pesantemente aiutati dallo Stato che puntano ad aggirare le normative del governo Usa». Che la Casa Bianca e Boeing si ritrovassero alleati solo un anno fa sembrava impossibile. Il presidente era stata da poco eletto (ma non ancora insediato alla Casa Bianca) quando – era il 6 dicembre 2016 – in uno dei suoi celebri tweet aveva espresso tutta la sua ira contro il gigante di Seattle: “Boeing sta costruendo un nuovo 747 Air Force One per i futuri presidenti, ma i costi sono fuori, più di 4 miliardi. Cancellare l’ordine!”. Un messaggio fin troppo chiaro, che riprendeva i temi principali della campagna elettorale populista di Trump cui i vertici della Boeing hanno risposto adattandosi in gran fretta alle direttive della Casa Bianca. La pace viene sancita ufficialmente un mese dopo l’ingresso di The Donald nello Studio Ovale, con la prima assoluta di un presidente in carica in visita al campus Boeing di North Charleston (South Carolina). E con il viaggio in Asia (in cui la tappa di Pechino è stata la principale) la pace è diventata una vera e propria collaborazione, tanto che Kevin McAllister, il chief executive di Boeing era alla guida (con Lloyd Blankfein di Goldman Sachs) della delegazione di imprenditori al seguito del presidente Usa. Dalla Cina è arrivato l’aiuto che il colosso dell’aviazione Usa aspettava, con un accordo per la vendita di 300 aeromobili (al prezzo totale di 37 miliardi di dollari), siglato durante la visita di Trump nella capitale cinese e nel quadro dei complessivi accordi commerciali da oltre 250 miliardi di dollari. Un accordo – composto da ordini e opzioni di acquisto, una commessa che comprende 260 B737 e quaranta tra B787 e B777 – che Boeing ha fatto con la China Aviation Supplies Holding Company, la società che acquista gli aerei per conto di aziende cinesi, ma che in realtà era già stato preparato molto in anticipo rispetto al viaggio di The Donald. Ma dalla Cina arriva anche la maggiore sfida ai due grandi duellanti della guerra dei cieli. Nel maggio scorso dall’aeroporto di Pudong, a Shanghai, è decollato il C919, il primo jumbo “made in China”, atterrato poi nello stesso scalo internazionale dopo un viaggio- prova di 80 minuti. Con quello che la stampa locale ha definito uno “storico volo” (l’aereo è prodotto dalla Commercial Aircraft Corporation of China (Comac), la Cina diventa la quarta nazione (dopo Stati Uniti, Europa e Russia) a produrre jet per l’aviazione civile. La sigla del velivolo è simbolica: C sta per Comac, il numero 9 significa “per sempre” nella cultura cinese, il 19 richiama 190, la capienza massima di questo aereo, che ha un’autonomia standard di oltre 4mila chilometri. Con il C919 – che, come tutto ciò che accade di importante oggi in Cina “è stato voluto direttamente dal presidente Xi Jinping” – Pechino lancia dunque una sfida diretta sia al Boeing 737 che all’Airbus A320 in un mercato miliardario come quello dell’aviazione civile cinese: che nei prossimi avrà bisogno di migliaia di nuovi aerei per servire i grandi nuovi scali che sono parte integrante (se non principale) del futuro sviluppo economico del gigante asiatico. Tra Airbus e Boeing la ‘guerra dei cieli’ si gioca anche al Wto, dove i due principali colossi dell’aviazione si accusano reciprocamente da anni di ricevere sovvenzioni pubbliche e alterare il mercato. Ma quella è una partita molto lunga e ancora tutta da giocare. Una linea di fabbricazione della cinese Comac a Shanghai.