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 2017  novembre 13 Lunedì calendario

Tv: Topolino a caccia dello squalo Disney vuole Fox contro Netflix & Co.

Venderà o non venderà? La domanda cruciale attorno all’affare Disney-Murdoch che ha infiammato listini, analisti e banche all’inizio della scorsa settimana è tutta qui. Perchè la sola certezza nell’ipotesi circolata a seguito di un lancio della Cnbc (il canale di business news che fa capo alla Comcast)e che non ha ricevuto alcun commento da nessuna delle due parti interessate, è che Disney ha tutte le intenzioni di comprare. Ma non si sa se la famiglia Murdoch sia davvero disposta a vendere la fetta più grossa del gruppo Fox: canali tv via etere e via cavo, gli studios di produzione della Fox e perfino le due grandi partecipazioni internazionali, Sky in Europa e Star in India, per tenersi solo Fox News e Fox Sport. Da un punto di vista industriale l’operazione c’è tutta. Il settore media negli Usa è alle prese con il ciclone della streaming tv: Netflix e Amazon stanno sconvolgendo, ancor più che in Europa, più tradizionalista, gli ascolti tv. «Le major hanno bisogno per poter competere di avere accesso diretto a piattaforme di distribuzione -spiega Augusto Preta, direttore di ItMedia Consulting – e soprattutto devono poter controllare direttamente il canale online per operare sullo stesso piano delle streaming tv. Anche perchè sono queste ultime che si stanno avvantaggiando del cosiddetto “cord cutting”, ossia il passaggio degli utenti da abbonamenti impegnativi come quelli delle pay tv, con vincoli contrattuali e costi elevati, a sistemi come Netflix, appunto, in cui si paga mese per mese un forfait onnicomprensivo. E tutto questo finisce così per erodere la base clienti delle pay tv tradizionali». Nel mondo prima di internet le major producevano e le tv compravano e a caro prezzo. Ora però con i grandi network tv sotto scacco tutto si complica. Come in una reazione a catena, la maggior richiesta di contenuti pregiati ha dapprima creato pressione sui prezzi dei diritti, a cui le streaming tv, sempre Netflix e Amazon in testa, hanno risposto iniziando a loro volta a produrre ed entrando in competizione diretta con le major. Come sempre in questi casi la risposta da parte del mercato è: concentrazione. A questo risponde la logica dell’acquisizione da parte di At&t,la telco numero uno del mercato Usa, di Time Warner, operazione al momento ferma in attesa di autorizzazioni antitrust che stanno tardando più del previsto. Ma alla stessa logica risponde l’offerta, anche questa in corso, da parte del gruppo Fox, per acquisire il 100% del gruppo Sky (pay tv via satellite in Italia, Germania e Gran Bretagna) di cui possiede il 39%. Detta così sembra poco ma è un’Opa da 11 miliardi di sterline. Tutto assieme il gruppo Fox non è un boccone piccolo: 30 miliardi di dollari di ricavi sul mercato Usa, 50 d i capitalizzazione. È un gruppo in crisi? No, non oltre la media del settore. Certo, ha sofferto lo stop ricevuto tre anni fa al tentativo di acquisire a sua volta il gruppo Time Warner (ma all’epoca venne stoppata anche una quasi contemporanea offerta di Comcast) ma non si può dire che il presente sia problematico. Anzi, mercoledì scorso, due giorni dopo l’indiscrezione della Cnbc, sono usciti i dati della trimestrale che sono stati sopra le attese dei mercati, con ricavi pubblicitari in crescita. I problemi sono caso mai più dalla parte di Disney, la “House of Mouse” è un gigante. Oltre 55 miliardi di dollari di ricavi, 150 di capitalizzazione, il triplo di Fox. Negli scorsi anni ha fatto molto shopping tra le case di produzione e se il contenuto è il re, la Disney dovrebbe essere il suo regno. Ma è un regno senza infrastrutture. Soprattutto una volta andata in porto l’operazione At&t-Time Warner, resterebbe “isolata”. Comcast è un gruppo integrato: è il maggiore operatore via cavo Usa, ha poi iniziato ad offrire connettività internet e ha un suo servizio di streaming tv. E indiscrezioni uscite sulla stampa Usa dicono che se davvero i Murdoch vendessero, anche Verizon, il concorrente di At&t, potrebbe entrare in partita. A spingere Disney verso l’ipotesi di formulare un’offerta per Fox potrebbe poi essere il fallimento di un tentativo di creare una sua streaming tv in casa. Lo ha fatto nel Regno Unito, lanciando due anni fa Disney Life, una streaming tv di cartoni e contenuti per bambini a 9,99 sterline al mese, ma la cosa non ha funzionato. Segno che la gestione di abbonati, pagamenti e software non è cosa che si possa inventare. Ora Bob Iger, il ceo di Disney, è corso ai ripari e si è rivolto al mercato, come già dieci anni fa, all’inizio della rivoluzione internet e del trattamento digitale delle immagini, quando risolse i suoi ritardi comprando la Pixar. Nei mesi scorsi ha infatti perfezionato l’acquisizione di Bam-Tech, una streaming video company creata dalla Major League di baseball: un investimento da 2,6 miliardi di dollari. Nelle scorse settimane ha annunciato il lancio di due nuovi servizi online nei prossimi 18 mesi. Uno legato allo sport (ma senza andare ad intaccare il ricco portafoglio di diritti di basket e baseball che la sua Espn vende alle pay tv), l’altro di film. Ma, come si vede dalla tempistica, non sono soluzioni in grado di dare effetti nel breve periodo. Di qui le voci su un’operazione più corposa. Gli incontri ci sarebbero dunque stati. Non alla presenza di banchieri d’affari e avvocati ma solo di manager. Non si sarebbe quindi parlato di cifre né di aspetti operativi. Potrebbe anche essere stato solo un ballon d’essay per vedere anche le reazioni dei mercati (positive per entrambi i titoli). Un’iniziativa che oltretutto non bloccherà, come qualcuno aveva temuto all’inizio, l’Opa sul 100% di Sky, attualmente in attesa di un ok definitivo da parte del governo britannico, che tarderà ancora per i tentennamenti del debole premier Theresa May, ma che dovrebbe infine arrivare. C’è però una possibilità più minimalista: che Disney e Fox si siano incontrati anche per decidere il futuro di Hulu, la streaming tv di film senza pubblicità nata in parte gratis e in parte in abbonamento. Hulu è nata nel 2007, un anno prima dello sbarco online di Netflix, ha circa 12 milioni di abbonati, un marchio ormai noto negli Usa ma è un’arma commercialmente spuntata perché ha troppi azionisti pesanti. È infatti controllata con il 30% ciascuno da Disney, Fox e Comcast, con un ultimo 10% di Time Warner. Alla fine resta l’incognita delle reali intenzioni dei Murdoch. Certo, molto dipenderà dall’assegno che le casse di Topolinia potrebbero staccare in loro favore. Ma al fondo c’è che si tratta di un impero familiare e le strategie del vecchio Rupert nel corso degli anni non hanno mai distolto lo sguardo dall’obiettivo di preparare un passaggio del testimone ai figli James e Lachlan. Anche nel caso, un paio di anni fa, della divisione in due degli asset tra NewsCorp e Fox. Suona comunque singolare che alla fine i Murdoch possano ritrovarsi a fare la stessa cosa da cui sono partiti molti anni fa: news e giornali. Sicuramente però di gran lunga più ricchi.