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 2017  novembre 14 Martedì calendario

Nei paesi dell’ex Urss il nazionalismo travolge la lingua russa che viene sostituita. Il latino adottato in Kazakistan entro il 2025

L’identità di un paese è racchiusa anche nella lingua. Sarà per questo che, con le ventate di nazionalismi che soffiano in giro per il mondo, c’è chi punta a recuperare il proprio idioma, magari per smarcarsi da chi per tanti anni lo ha comandato, imponendogli un alfabeto.
È il caso dei territori dell’ex Unione Sovietica: a cent’anni dalla Rivoluzione d’ottobre e ad oltre un quarto di secolo dall’indipendenza da Mosca, diverse repubbliche ex Urss stanno cercando di valorizzare le loro lingue nazionali a scapito del russo.
Ucraina, Bielorussia e Kazakistan sono gli Stati dove c’è più fermento sotto questo punto di vista e le novità in ballo non sono dei vezzi da letterati, ma dei veri e propri messaggi politici per Vladimir Putin, anche da chi, come Minsk e Astana, è uno storico e (per ora) affidabile alleato.
In Ucraina, dal 2014 ad oggi, il sentimento anti russo è invece letteralmente esploso. La nuova legge sull’educazione, fortemente voluta dal presidente Petro Poroshenko, si basa su un principio tutto sommato semplice: il processo educativo deve basarsi solo sulla lingua di Stato. «Proteggiamo le minoranze», ha detto il numero uno di Kiev, «ma ogni cittadino ucraino deve parlare la lingua ucraina». Fino al 2020, come riportato dall’agenzia Tass, le lingue minoritarie tra cui il russo saranno insegnate fino alla quinta elementare; poi l’intero processo di istruzione sarà svolto interamente in lingua ucraina, a partire dalla prima classe.
L’adozione di questa legge è stata criticata da Russia, Polonia, Bulgaria e Grecia, mentre il presidente rumeno Klaus Iohannis ha annullato la sua visita in Ucraina per protesta; mentre il ministro degli esteri ungherese Peter Sziijarto ha detto che questo potrebbe bloccare ogni processo di avvicinamento di Kiev nell’Unione europea.
La Bielorussia è, tra le ex repubbliche Urss, quella più integrata alla Russia: l’asse Mosca-Minsk è forte, i popoli sono vicini, così come la cultura. Per decenni il russo è stata l’unica lingua del paese, tanto che solo il 10% della popolazione usava il bielorusso per comunicare. A scuola si insegna in russo e il bielorusso è una materia tra le tante, i telegiornali, la radio, i documenti... tutto è in russo. La lingua nazionale per anni è stata utilizzata principalmente dai partiti di opposizione al governo di Alexander Lukashenko, tanto per rimarcare una distanza da chi gestiva il potere. Da un po’ di tempo a questa parte, però, il leader bielorusso ha cambiato strategia: documenti, cartelli stradali e anche discorsi ufficiali vengono fatti nell’originale lingua nazionale.
Il presidente del Kazakistan, Nursultan Nazarbayev, ha invece ordinato di abbandonare il cirillico per abbracciare l’alfabeto latino: e per il popolo kazako questo sarebbe il terzo cambiamento in un secolo.
Questo switch, già fatto in passato da Azerbaijan, Turkmenistan e Uzbekistan, sarà graduale di qui al 2025, ma è visto come una mossa simbolica per sottolineare l’indipendenza del paese da Mosca, che è comunque il principale partner commerciale del Kazakistan, e per limitare le ambizioni russe di continuare ad esercitare una forte influenza politica su Astana.
Nel censimento del 2009 il 62% della popolazione parlava e scriveva fluentemente il kazako, mentre l’85% il russo. Il cambiamento è giustificato dal fatto che il cirillico è un ostacolo alla digitalizzazione, ma all’origine della scelta c’è una forte motivazione politica.