L’Economia, 13 novembre 2017
Il buco dei crediti deteriorati. Ecco chi deve pagare
Se qualcuno pensava che con l’estate fosse finita anche la stagione delle difficoltà per il settore bancario italiano – specie dopo la riammissione in Borsa del Monte dei Paschi di Siena, il 25 ottobre scorso, segno tangibile di una nuova ritrovata normalità – ha dovuto bruscamente risvegliarsi nei giorni scorsi. La battaglia istituzionale tra parlamento europeo e Banca centrale europea ha solo raffreddato le tensioni esistenti e forse permetterà alle banche di guadagnare qualche mese di tempo. Ma la strada è segnata. Lo disse a questo giornale Federico Ghizzoni, oggi presidente di Rothschild Italia e per lungo tempo al timone di Unicredit, il 16 ottobre scorso: «credo sia difficile cambiare la sostanza della realtà».
Così, appena la presidente del Supervisory board della Banca centrale europea, Danièle Nouy, ha alzato il sopracciglio il sistema ha ricominciato a tremare e i titoli in Borsa hanno iniziato a perdere. In alcuni così rovinosamente (sull’argomento vedi anche Adriano Barrì a pagina 44). La domanda è la solita: dovremo procedere con altri aumenti di capitale? Pochi potranno sottrarsi, ma tutti, proprio tutti, dovranno drasticamente eliminare dai conti di casa i crediti deteriorati.
L’antica pratica italiana di chiudere le difficoltà in un cassetto ed aspettare, non ha più diritto di cittadinanza. Recentemente, dall’analisi di alcuni portafogli di Npl sono emerse posizioni avariate denominate inizialmente in lire italiane: risalivano a prima della introduzione della moneta unica. Situazioni simili, nella convinzione di mantenere il cliente, non saranno più tollerate dagli organi di vigilanza. La pulizia dei bilanci dovrà essere fatta fino in fondo. Ma vediamo chi dovrà agire e in che termini conta di farlo. Intesa Sanpaolo, Unicredit e Ubi, sono al momento in una comfort zone, grazie a politiche accorte nel passato remoto o a drastici interventi nel passato prossimo. Del Monte dei Paschi, oggi a maggioranza pubblica, si conosce tutto. Diversa la condizione del Credito Valtellinese e di Banca Carige, che hanno già annunciato aumenti di capitale per oltre un miliardo di euro, come pure di Bper e di Banco Bpm, impegnati ad alleggerire i bilanci da miliardi di crediti in sofferenza percorrendo strade diverse.
Carige
Il polo creditizio ligure è guidato dallo scorso giugno da Paolo Fiorentino, ex top manager di Unicredit che ha messo a punto un piano di miliardo di euro. In pancia la banca genovese si ritrova 6,3 miliardi di crediti deteriorati. Fiorentino conta di venderne almeno 1,4 miliardi (le cosiddette Sofferenze), di cedere una serie di attività (il palazzo di Corso Vittorio Emanuele a Milano ha appena fruttato 107,5 milioni di euro) e di chiedere ai soci 560 milioni cash per riportare a dritta la barra della banca. L’aumento di capitale potrebbe partire a breve, addirittura lunedì 20 novembre se le necessarie autorizzazioni arriveranno in tempo. E sarà un aumento che, con l’insieme delle altre misure predisposte dal management, metterà Carige al sicuro anche da un’interpretazione particolarmente severa delle attuali posizioni della Bce.
Creval
Centotrenta milioni di euro bruciati in meno di tre sedute di Borsa sono la testimonianza di quale sentimento circondi il piano industriale al 2020 della ex Popolare valtellinese. Preoccupa soprattutto la dimensione del buco che si è creato negli anni, i crediti facili che il mondo delle popolari, non solo il Creval, concedeva ai soci clienti in virtù di un malinteso concetto di territorialità. La banca guidata oggi da Mauro Selvetti capitalizza in Borsa meno di duecento milioni di euro e ne chiede 700 ai soci. In più deve fare i conti con oltre 4 miliardi di crediti deteriorati al 30 settembre scorso, di cui almeno 1,6 miliardi sono sofferenze che andranno cedute. L’aumento, a cui sta lavorando Mediobanca, sarà un banco di prova importante per il Creval del futuro e i suoi 150 mila soci, ultimamente molto preoccupati.
Bper
Anche la Bper, una delle banche con il più elevato indicatore Cet1 nel panorama italiano, deve fare i conti con il passato. Proprio e delle principali controllate, in questo caso il Banco di Sardegna. Il pacchetto di crediti deteriorati che il ceo di Bper, Alessandro Vandelli, si trova a scalare è alto 4 miliardi di euro. Il piano presentato la settimana scorsa prevede un miliardo di euro di accantonamenti all’inizio del 2018, a cui faranno seguito tre distinte operazioni:1,2 miliardi di cartolarizzazioni di posizioni ex Banco di Sardegna, 1,8 miliardi di cartolarizzazione di origine Bper e un ulteriore miliardo derivante da varie attività. Vandelli è stato categorico: non serviranno aumenti di capitale. Di questi tempi un risultato non da poco.
Banco Bpm
Nonostante nell’ultimo anno lo stock di crediti deteriorati in pancia alla banca guidata da Giuseppe Castagna sia diminuito in maniera consistente (tre miliardi in meno rispetto al 30 settembre 2016), rimangono comunque 14 miliardi di non performing loan con cui confrontarsi. Il gruppo, che rappresenta la prima grande fusione europea realizzata con le nuove regole – per di più coinvolgendo due ex popolari – ha chiuso la terza trimestrale dell’anno con un utile netto di 53 milioni di euro. Ma il focus è tutto sui deteriorati: il pacchetto di 8 miliardi di euro da cedere in accordo con la Bce sarà alienato entro il prossimo giugno, con un anticipo di diciotto mesi rispetto ai target annunciati. Ne risentirà l’indicatore Cet1 fully phased, oggi al 12,49 per cento? Di sicuro Castagna ha assicurato anche giovedì scorso che non si chiederanno denari ai soci.