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 2017  novembre 11 Sabato calendario

Kevin Magnussen, il cattivo della F.1: «Se non ho amici significa che faccio bene il pilota»

Nico Hulkenberg non ha avuta alcuna remora a definirlo un «idiota».; Fernando Alonso, dopo che ha avuto a che fare con lui, si è detto via radio, sostanzialmente d’accordo col tedesco della Renault. E pure Max Verstappen ha avuto modo di criticarlo. Dare addosso a Kevin Magnussen, danese, 25 anni da 4 in F.1, figlio d’arte (Jackie Stewart, quando assunse papà Jan nel suo team era convinto che fosse un nuovo Senna) è molto di moda in questo 2017. Eppure due settimane fa, il «bad boy» della F.1 si è preso una piccola rivincita, tenendosi dietro due campioni del mondo, Hamilton e Alonso, ricevendo i complimenti di Gunther Steiner: «Kevin ha condotto la miglior gara dell’anno». Occhi azzurri, capello e barba biondi, da perfetto uomo del nord, Magnussen non si scompone quando gli si ricorda Città del Messico: «È stata una buona corsa, specie dopo che in qualifica ero finito in fondo», si limita a dire.
Come si sente quando i colleghi la definiscono cattivo ragazzo?
«La gente pensi ciò che vuole. Sarei più preoccupato se non ricevessi critiche perché vorrebbe dire che non sto facendo bene il mio lavoro».
Ma chi è il più pulito in pista?
«Non ho questa visione delle cose, piuttosto direi che ci sono piloti che è più facile superare e altri meno. Poi ci sono delle regole ed è giusto rispettarle».
E allora chi è il pilota più complicato da superare?
Ci pensa un po’. «Kvyat, anche se non c’è più. Daniil era davvero bravo a difendersi».
Lei è figlio di un pilota. In F.1 i padri si dividono tra quelli invadenti e quelli che se ne stanno in disparte come Keke Rosberg che girava in pista ad osservare Nico ma poi non amava parlare di lui. Il suo di quale partito è?
«Assomiglia più a Keke, si tiene distante e mi lascia tranquillo».
Almeno vi confrontate?
«Certo, parliamo delle corse, ma semplicemente perché abbiamo in comune la passione».
Lei ogni tanto esprime la voglia di gareggiare con suo padre: riuscirete, chessò, a disputare con la stessa macchina una 24 Ore di Le Mans?
«Mi piacerebbe farlo, sarebbe divertente. Ma al momento non c’è nulla di pianificato».
Lei ha detto che non è in F.1 per farsi degli amici, ma c’è qualche pilota con cui va d’accordo?
«Sì, Esteban (Ocon; n.d.r.) è davvero un bravo ragazzo, cool. Ma non potrei definirlo un amico, era 3° pilota quando correvo con la Renault, abbiamo trascorso un po’ di tempo insieme. È uno dei pochi con cui parlo».
Ma chi sono allora i suoi amici?
«Danesi. Ci conosciamo dall’adolescenza. Gente con cui esco, vado a bere qualcosa, mi ricarico tra una gara e l’altra».
Lei ha citato la Renault, dove è stato un solo anno. Anche la sua avventura alla McLaren è stata breve. C’entra il suo carattere?
«Deve chiedere ai team. Io ritengo di essere stato vittima di circostanze sfortunate. Cambiare team due volte in altrettanti anni è stata una pessima esperienza, ma ho anche imparato tanto. Ora spero di restare alla Haas per un po’».
Non teme la concorrenza di Giovinazzi? La Ferrari, che vi fornisce i motori, e ha una relazione molto stretta con il team, sta spingendo.
«No, io mi sento a posto».
Si parla di un GP in Danimarca.
«Sarebbe bello avere un GP di casa. Siamo una nazione piccola, 5-6 milioni di abitanti e quando c’è qualcuno che emerge in uno sport, viene sostenuto in maniera incredibile. A noi danesi piace viaggiare e siamo molto patriottici».
Lei è giovane, soffre un po’ il fatto che Verstappen vada così forte da mettere in ombra la vostra generazione?
«Sarei bugiardo se dicessi che non sono geloso. Ha sfruttato circostanze fortunate che si è meritato».
E lei, arriverà mai ad avere una macchina vincente?
«Non ha molto senso porsi un obiettivo simile. La F.1 è uno degli sport più duri, devi essere costante nelle prestazioni, dimostrare sempre di meritarti quello che hai a disposizione, ad ogni gara, in ogni stagione. Ma ci sono piloti che hanno trascorso tanti anni in F.1 prima di approdare in un team di vertice. Penso a Jenson Button, Mark Webber, Nico Hulkenberg. Ora comincio ad abituarmi, ma è dura: quando corri nelle categorie junior sei abituato a vincere e poi in F.1 non vinci più, anzi non finisci neppure sul podio. Io ne ho colto uno in due anni (Australia 2014 al debutto; n.d.r.). Devi cambiare mentalità e sperare che un giorno possa svoltare».
Questo Mondiale ha visto una lotta tra Hamilton e Vettel che hanno due stili di vita diversi: lei in quale si rispecchia?
«Non vedo niente di sbagliato in nessuno dei due: ma io sono come Seb, dalla vita riservata».