La Gazzetta dello Sport, 13 novembre 2017
Calcio, dalla disfatta del 1958 al flop del 1992: quando la nazionale azzurra è rimasta a casa
Cinque partite che è bene ricordare per evitare che gli errori si ripetano. Cinque storie che raccontano piccoli (o grandi drammi) calcistici degli italiani, soprattutto quelli meno giovani. Il viaggio nel museo delle brutture parte da Belfast, Irlanda del Nord. Agli azzurri basta il pareggio per qualificarsi al Mondiale di Svezia, è il 15 gennaio 1958. Tira aria di battaglia al Windsor Park, anche perché la vigilia è stata surriscaldata da dichiarazioni inopportune: gli italiani vengono accusati di mai provate pratiche di doping, sui giornali campeggiano vignette con i giocatori azzurri accerchiati da fialette e siringhe. È, quella, la Nazionale degli oriundi e il commissario tecnico Alfredo Foni, raffinato tattico e precursore del difensivismo, per una volta cambia le carte in tavola e decide di mandare in campo una squadra iperoffensiva: tre punte (Ghiggia, Pivatelli, Da Costa), una mezzapunta (Montuori) e un regista (Schiaffino) che non ama correre dietro agli avversari. È una mattanza. L’Italia va sotto 2-0 nel primo tempo (McIlroy e Cush) e a poco serve la rete di Da Costa nella ripresa. Sconfitta e niente Mondiale: è l’unica volta che non ci qualifichiamo (nel 1930 non accettammo l’invito della Fifa per l’edizione in Uruguay).
POLEMICHE Per quattro volte, invece, siamo rimasti fuori dall’Europeo. Nel 1972, da vicecampioni del mondo e campioni d’Europa in carica, la Nazionale di Valcareggi perde contro il Belgio: 0-0 in casa e sconfitta 2-1 a Bruxelles. Cresce l’onda della polemica e si trascina fino allo sciagurato Mondiale del 1974, dopo il quale Fulvio Bernardini diventa coordinatore di tutte le nazionali. Ma alle qualificazioni a Euro ‘76 è un altro fallimento. Stavolta, tuttavia, il sorteggio non è benevolo: gli azzurri capitano nel girone con l’Olanda di Cruijff e con la Polonia di Lato. Siamo eliminati, però con onore: l’Olanda, che passa per differenza reti, conquista 8 punti, come la Polonia; l’Italia si ferma a quota 7. Non è una disfatta e da lì si comincia a costruire il ciclo Bearzot.
SGAMBETTO Nelle qualificazione a Euro ‘84, invece, gli azzurri la combinano grossa. Molto grossa. Sono campioni del mondo, dopo l’epica impresa a Spagna ‘82, eppure si fanno mettere sotto dalla Romania, dalla Svezia e persino la Cecoslovacchia conquista più punti della Nazionale di Bearzot. Fuori dal torneo, e quella brutta avventura è il prologo della fine che si concretizzerà al Mondiale di Messico ‘86. A quel punto si cambia tutto, Azeglio Vicini prende il posto di Bearzot, guida la Nazionale a Italia ‘90, ma inciampa (non senza qualche sgambetto «amico») sulla strada verso l’Europeo del 1992. Matarrese, presidente della Federcalcio, non perdona a Vicini di non aver vinto il Mondiale in casa (come se fosse semplice) e non perde occasione per criticare gli azzurri delegittimando il commissario tecnico. A Mosca, il 12 ottobre 1991, l’Italia deve battere l’Urss, ma il sogno azzurro si ferma contro il palo (colpito da Rizzitelli). Finisce l’epoca di Vicini e comincia quella di Arrigo Sacchi.