Dieci anni di Repubblica, 15 gennaio 1978
Buon compleanno, presidente
La crisi di governo si è virtualmente aperta alle 15.50 di ieri, quando i repubblicani Oddo Biasini e Giovanni Spadolini si sono seduti davanti ad Andreotti, nel suo ufficio di Montecitorio (1). Domani il presidente del Consiglio andrà da Leone per rassegnare le dimissioni del suo governo. Andreotti ieri compiva gli anni, cinquantanove per l’esattezza, ma non è stata per lui una buona giornata. Era arrivato alla Camera alle 15.30 mentre su Roma si abbatteva quasi un nubifragio, e Montecitorio appariva deserta: non un deputato, semibui i corridoi, chiuso il ristorante, sala stampa sguarnita. Da un angolo nell’ombra, nel Transatlantico, veniva una voce suadente, smorzata: Pannella elegantissimo che parlava, parlava, arrotando un francese perfetto, con tre giornalisti venuti a intervistarlo. Andreotti appariva un po’ nervoso, infreddolito nel suo soprabito grigio, la solita sciarpa bianca avvolta intorno al collo. «Presidente, piove», gli ha mormorato un fotografo, «auguri».
Andreotti ha sorriso appena, accennando di sì con la testa, ed è sparito nel suo studio. Lì, per tutto il pomeriggio e fino a sera inoltrata, si è sentito ripetere dai rappresentanti di quattro dei sei partiti che gli avevano consentito di governare, che ormai non c’era proprio nulla da fare: il suo governo non andava più bene, ne occorreva un altro.
Per primi sono entrati i repubblicani e intanto i giornalisti circondavano il capogruppo socialista, Balzamo, che aspettava il suo turno, arrivato in anticipo. «Onorevole, ha letto le agenzie? Si lancia l’ipotesi di un governo Dc-Psi. Che ne dice?» «Con senso di responsabilità», sorride Balzamo, «speriamo che la crisi non sia lunga. Ma se fosse lunga ne sentiremmo delle belle...». Arriva Giorgio Ceccherini, il capo ufficio stampa della presidenza del Consiglio e fa capannello. Ci tiene a dire qualcosa: «Vi racconto un episodio, Andreotti ha ricevuto decine e decine di telegrammi di augurio, di consigli, di suggerimenti, di persone sconosciute. Ha voluto rispondere a due che lo esortavano a tener duro, a non dimettersi se non in presenza di un voto del Parlamento». E lui ha risposto che sì, anche quest’aspetto formale era «importante, ma secondario rispetto alla necessità di evitare qualsiasi inasprimento».
Che Andreotti abbia voluto contribuire in ogni modo a mantenere un clima disteso non c’è dubbio. Nessun nervosismo, nessuna battuta aspramente polemica. Tutti i rappresentanti dei gruppi parlamentari che uscivano dal colloquio con il presidente del Consiglio avevano in mano un sunto dell’intervento che Andreotti aveva pronunciato la sera prima alla riunione dei deputati democristiani. Un intervento possibilista, distensivo, che Andreotti aveva voluto consegnare a tutti quasi il simbolo delle sue buone intenzioni.
C’è stato soltanto un momento di tensione, quando Biasini, terminato il colloquio, ha continuato a ripetere ai giornalisti e alla Tv che il problema dei comunisti al governo non doveva essere il centro di tutto. «Senza patto sociale» ha detto «senza l’accordo dei sindacati, nessuna soluzione d’emergenza reggerebbe». «Dunque» gli è stato chiesto «sui comunisti al governo avete fatto marcia indietro? (2)». Biasini è scattato: «È una sua illazione infondata».
Così sono sfilati, uno dopo l’altro, i socialisti Balzamo e Cipellini, i socialdemocratici Preti e Ariosto, i liberali Bozzi e Costa. «Abbiamo detto ad Andreotti che il paese si trova in una situazione quasi disperata e che c’è bisogno di un governo che sappia mobilitare tutte le risorse e le energie morali del paese», ha detto Balzamo. «Avete insistito sul governo di emergenza?». «A situazione d’emergenza, soluzione di emergenza». «Comunisti al governo o nella maggioranza?». «Le formule le indicheremo al capo dello Stato quando ci convocherà».
Adesso i giornalisti aspettano i rappresentanti comunisti, Natta e Perna, che escono dopo trentacinque minuti di colloquio, alle 18.30.
Natta legge la dichiarazione preparata: la grave situazione del paese rende necessario «un consolidamento e uno sviluppo» della politica di solidarietà che ha portato all’intesa di luglio. «Occorre superare le difficoltà e le resistenze che hanno impedito la piena realizzazione degli accordi e superare i limiti e le debolezze politiche e parlamentari del governo monocolore, che si sono accentuati negli ultimi mesi». Quindi, nuovo governo «di solidarietà e di unità democratica, sulla base di un preciso accordo di programma».
I giornalisti chiedono: «Insistete per l’ingresso dei comunisti nel governo?» «Sì. Un governo di unità democratica in cui sia presente il partito comunista» «Non vi basterebbe far parte della maggioranza?» «La nostra proposta è la più adeguata alle necessità del paese; ma ciò non significa che noi non siamo disposti a discutere e valutare le proposte degli altri». «Che cosa vi ha detto Andreotti?» gli chiediamo. Natta esita un istante: «Ci ha chiesto se era possibile dare maggiore validità all’intesa senza ricorrere alla crisi», risponde alla fine. «Forse sperava che le cose sarebbero andate diversamente, forse avrebbe dovuto fare prima qualche cosa...».
Poco più tardi tutti circondano Piccoli: «Atmosfera costruttiva?» «Ce lo auguriamo». «Ci sono margini per una trattativa?» «Credo di sì. Sono profondamente convinto di questo». E, alla fine, è uscito Andreotti, un po’ affaticato dopo quasi cinque ore di colloqui. «Il clima è disteso», ha detto; «la sostanza la conoscete: lunedì comunicherò i risultati degli incontri al consiglio dei ministri e poi andrò al Quirinale». Qualcuno ha chiesto: qualche gruppo ha cambiato atteggiamento? E lui ha sorriso: «Ma quale gruppo volete che cambi a così breve distanza il proprio atteggiamento? Si tratta soltanto di essere disponibili per una discussione perché ognuno, da sé, una soluzione non può trovarla». E ha concluso: «Chissà, forse si poteva aprire la crisi quando già vi erano dei binari e c’era da fare soltanto qualche ritocco...».
Note: (1) Oddo Biasini e Giovanni Spadolini erano capi dei gruppi parlamentari repubblicani rispettivamente della Camera e del Senato. Sono capigruppo dei vari partiti tutte le coppie citate nell’articolo. (2) Era stato proprio Ugo La Malfa alla fine del ’77, a reclamare la formazione di un governo d’emergenza di cui facessero parte anche i comunisti.