Libero, 12 novembre 2017
L’università censura gli antipatici
Parrebbe semplice: se è previsto che uno o più invitati debbano parlare all’università, invitati e autorizzati, e se però qualcuno si mette di mezzo cercando di impedire che questi invitati varchino l’ingresso, beh, questo qualcuno deve essere corcato di mazzate o perlomeno allontanato con la violenza legale che appartiene alle forze dell’ordine. Perché non si può fare? Perché non si fa? Gli ultimi casi riguardano le università di Napoli e Firenze. Alla Federico II di Napoli, giovedì, Massimo D’Alema e Susanna Camusso dovevano partecipare a un convegno colpevole solo del suo titolo palloso (“L’Europa e la crisi della socialdemocrazia”) ma hanno trovato l’aula occupata da un centinaio di giovani dei soliti collettivi universitari e centri sociali. Morale: la Camusso se n’è andata al grido di “jatevenne” (D’Alema non ha neanche fatto in tempo ad arrivare) e chiusa lì. Qualche scontro con le forze dell’ ordine c’è stato, ma come dire: hanno vinto ufficialmente gli occupanti, che hanno lasciato l’aula solo a convegno annullato. Missione compiuta. Non solo: i violenti-dementi (tipo quelli di un sindacato chiamato Clash city workers) hanno anche potuto rilasciare interviste deliranti. Hanno gridato slogan attuali e circostanziati come “potere al popolo” e a D’Alema hanno contestato un po’ di tutto, dal Kosovo al Jobs act, dalla precarizzazione alla “buona scuola”. Alla Camusso invece hanno rimproverato di essere la peggiore segretaria della storia della Cgil e di essere “a capo di un’organizzazione che coscientemente persegue obiettivi alternativi e opposti agli obiettivi dei lavoratori”. Boh. A Napoli, in luoghi diversi, era già successo a Matteo Salvini e a Vincenzo De Luca: non erano riusciti a parlare. Secondo D’Alema, almeno così, accade solo da quelle parti.
E non c’è da perdere tempo, ora, a rispiegare la rava e la fava e la democrazia e i diritti costituzionali: sono cose che vogliamo dare per scontate. C’è solo da chiedersi: perché è stato permesso? Perché questi violenti (illegali) e non sono stati corcati (legalmente) di mazzate e allontanati dall’aula che occupavano? Forse perché un convegno non vale uno scontro militare? Forse perché sarebbe venuto fuori un troiaio, dite? O perché la polizia ha la sindrome di Bolzaneto? Rimane inevasa una domanda: è più grave un flagrante vulnus alla democrazia oppure è più grave sgomberare coi manganelli chi non la rispetta? Ed è più grave che accada in qualsiasi luogo o che accada proprio in un’università, che dovrebbe essere il luogo riservato al confronto e al dialogo e all’approfondimento?
Stesso discorso avrebbe potuto valere, ieri, per Daniela Santanché e il piddino David Ermini, che sono riusciti a parlare al polo delle Scienze Sociali di Novoli (quartiere di Firenze) nonostante siano stati accolti da striscioni, fumogeni e un cartello che spiegava: “Crediamo che chi professa odio e razzismo non abbia la legittimità di parlare nè in università, nè a Firenze nè altrove. La fascista Santanchè e il Pd non hanno nulla da insegnare”. Bene, loro credono questo, e a noi poniamo non ce ne frega educatamente una cippa: ma il punto è che, se non sono riusciti a impedire il dibattito, è per la banale ragione che erano solo in una ventina. È così che funziona. Nel 2005, quando venne l’ambasciatore istraeliano, erano molti di più. E così pure, nel 2013, con Ignazio Visco e nel 2015 con Giancarlo Caselli. Il Collettivo di Scienze politiche dell’università di Firenze, nella disordinata trasversalità delle sue contestazioni, non dimostra di essere composto che giovani che sono idioti perché sono giovani: dimostra che sono giovani e già così idioti. Con la spiccata predilezione, esattamente come a Napoli -maaNapolièpeggio-di esercitare impunemente la loro violenza e di violare la democrazia col benestare delle nostre forze dell’ordine e di chi le comanda. Così, anno dopo anno, restiamo in balia di questi idioti. Sicuri che sia la strada giusta?