la Repubblica, 11 novembre 2017
L’amaca
Sbagliare tono vuol dire sbagliare tutto. Dire a qualcuno «hai torto» con affetto, oppure con disprezzo, muta la frase nel profondo. Dunque non ha attenuanti quel prete di Bologna che alla ragazza abusata in una notte di alcol e di degrado ha rivolto parole di condanna piuttosto che di soccorso. Ha sprecato un’occasione, da uomo e da prete. Ed è un peccato: perché il tema trattato è enorme e non merita di essere declassato a comizietto contro “i drogati”.
Il tema è quello della responsabilità individuale, concetto sempre più labile, sempre più oscurato da pretesti e alibi. Tirare l’alba bevendo come spugne non è una “colpa”, come lascia intendere la rozza reprimenda di quel prete contro quella ragazza, che ha vissuto un risveglio di umiliazione dopo una notte balorda. Ma non è neanche un destino inevitabile, una congiura di forze oscure, una costrizione che non dà scampo. Bere, drogarsi, farsi del male devono tornare, per tutti, a essere una scelta. Una scelta da rivendicare oppure da maledire: ma una scelta. Nessuno deve essere così scellerato da considerare “normale” uno stupro ai danni di una ragazza che passa la notte in strada, in stato di alterazione. Ma nessuno merita di considerarsi così stupido, o così debole, da imputare sempre «all’epoca o alla storia» (Gaber) ogni caduta, ogni incidente.