Corriere della Sera, 13 novembre 2017
Non è più ora di parlare di calcio. Conta solo non avere paura
È arrivato il momento di restituire la giusta proporzione a tutto. In fondo tutto sta andando secondo le previsioni. La vera diversità di queste qualificazioni è stato il passaggio alla fase finale di una sola squadra, prima erano quasi sempre state due, e l’Italia seconda era arrivata anche stavolta. Era previsto anche che ci fosse poco gioco, non si capisce chi avrebbe dovuto crearne uno buono, non abbiamo giocatori di qualità chiara. Era prevista anche l’inesperienza di Ventura, ognuno a 69 anni porta in Nazionale quello che ha fatto nella vita. Ventura ha fatto molte cose buone, ma poche eccezionali. La vera diversità è cominciata con il niente di tre giorni fa, nessuna idea e nessuna fatica. Ora è solo il tempo di cancellare quella partita e ricominciare nella nostra normalità, ricollocare i valori al loro posto. Non siamo peggiori della Svezia, siamo solo molto spaventati. Non portare l’Italia ai Mondiali significa entrare nella storia alla rovescia, vuol dire per ogni giocatore buttare via qualunque cosa buona fatta. Ricorderebbero questa Italia anche fra cento anni. Questo giustifica le risse volute dagli svedesi. Questo fa capire perché le abbiamo prese in silenzio. Siamo terrorizzati. Inutile parlare di formazioni anche se in pratica debuttano Jorginho e Gabbiadini e restano i tre difensori centrali. Il tratto più evidente è l’ingresso di Florenzi accoppiato a Parolo, due giocatori verticali chiamati a legare il campo, costringere alla corsa i due centrocampisti svedesi che sono arrivati sempre prima di noi. Sorprende l’assenza di Insigne, ma nel momento del bisogno Ventura è tornato a tutte le idee di quando cominciò. In questa squadra non ci sono ali pure, fantasisti di fascia. Nemmeno il più bravo può trovare posto. È un errore, ma non è il momento di discuterlo. Davanti a questa sofferenza vasta che sta prendendo l’intero paese, è inutile parlare di calcio. Si va a San Siro e si urla Italia. I Mondiali sono stati nel dopoguerra il nostro modo di alzare la testa, di partecipare alla corsa popolare del mondo. Non averli più ci imbruttirebbe come una bocca piena di unto, ci renderebbe volgari. Non fosse che solo per oggi, questo è il tempo di essere ottimisti.