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 2017  novembre 13 Lunedì calendario

Profondo rosso al gran bancomat dello Sport

Campioni di debiti: il bilancio dello sport italiano è negativo, nel vero senso della parola: nel 2016 più della metà delle Federazioni (23 su 44) hanno chiuso in rosso, bruciando una cifra superiore ai 10 milioni di euro. Tutti o quasi soldi pubblici, visto che l’intero sistema si regge praticamente solo sui finanziamenti dello Stato. Solo una parte dei contributi, però, finisce effettivamente all’attività sportiva e agli atleti: sostenere il movimento costa, ma costano anche di più gli enormi carrozzoni di minuscole discipline, l’esercito di dipendenti e dirigenti, i palazzi da mantenere e le grandi manifestazioni da organizzare. In media più del 30% delle risorse se ne va in costi di funzionamento: 70 milioni all’anno solo per il personale, poi ci sono diarie, affitti, costi di rappresentanza. E nei conti delle Federazioni si trovano spese di ogni genere: trasferte in giro per il mondo, coppe, feste, campagne pubblicitarie. Ci vuole un attimo a dilapidare i quasi 250 milioni di euro che il Comitato Olimpico gira alle Fsn e ritrovarsi con un segno meno alla fine dell’anno.
Anche perché nel 2017 è entrato in vigore l’obbligo, giustamente imposto dal Coni di far certificare il bilancio da una società specializzata: non si può più barare e i nodi (crediti inesigibili, strani giri con le partecipate, investimenti scriteriati) sono venuti al pettine.
Sette federazioni sono addirittura tecnicamente in bancarotta: ciclismo, baseball, rugby, equitazione, sport invernali, pattinaggio a rotelle e triathlon hanno una situazione patrimoniale in deficit, chi più chi meno pesante.
Se fossero un’azienda avrebbero già portato i libri in tribunale, ma siccome sono delle Federazioni sportive non possono fallire: i soldi, tanto, ogni anno li rimette lo Stato.
E il Coni di Giovanni Malagò che fa? Nulla, o quasi. Un po’ è vittima, alle prese con buchi ereditati dalla precedente gestione, sotto la minaccia del blocco dell’attività sportiva che non può permettersi. Un po’ è complice.
 
Ciclismo in rosso, ma il Coni copre
Ogni anno il Coni riceve un contributo dallo Stato di circa 410 milioni di euro, di cui più della metà finisce nelle casse delle 44 Federazioni, un universo di sigle e discipline in cui è difficile districarsi. I soldi, però, non bastano mai e perdita dopo perdita si scava una voragine. Il caso più grave è quello della Federazione Ciclismo (Fci), presieduta da Renato Di Rocco, in deficit per oltre 2 milioni e mezzo di euro. C’è chi all’interno del movimento sostiene che la responsabilità sia dei Mondiali di Toscana 2013 (manifestazione fortemente voluta da Matteo Renzi, allora sindaco di Firenze), sulle cui spese non è mai stata fatta totale chiarezza. Di Rocco respinge le accuse: “Firenze non c’entra nulla: partivamo da un passivo di 5 milioni nel 2005, ora siamo a metà strada”. In realtà la situazione è precipitata negli ultimi 4 anni, tra crediti inesigibili, correzione nell’attribuzione di partite contabili, da ultimo la completa svalutazione delle rimanenze di magazzino. Dal 2014 la Fci chiude il bilancio in negativo, facendo buco su buco, non rispettando i piani di rientro firmati e sistematicamente riscritti: anche nel 2016 il bilancio di previsione segnava +400 mila euro, il consuntivo dice -550 mila. Ma per il presidente è tutto a posto: “Ci siamo dovuti far carico di oneri imprevisti, ereditati dal passato. Recupereremo in futuro, i risultati sportivi sono dalla nostra parte”. Anche il Coni, del resto, pare pensarla così. La normativa prevede che la giunta nazionale vigili “sul corretto funzionamento delle Federazioni e in caso di accertate gravi irregolarità nella gestione (…) propone la nomina di un commissario”. Il mancato rispetto degli accordi per tre anni di fila rientra in questa casistica? Evidentemente no: il Coni ha sempre approvato il bilancio. Senza battere ciglio, come dimostra uno scambio di mail riservato, di cui Il Fatto Quotidiano è in possesso. Si parla del piano di risanamento e di fronte all’ennesima inottemperanza ci si aspetterebbe una dura reprimenda, se non proprio la minaccia del commissariamento. Invece i toni sono concilianti: “Quello che è successo, è successo, non è un problema”, scrive un alto dirigente della Coni Servizi al segretario generale Fci. Dopo il suggerimento di ricorrere alle “maniere forti”, rivalendosi sui tesserati con un “aumento delle quote”, il clima da “scurdámmoce ‘o passato” ritorna anche nei saluti: “Rimaniamo a disposizione per qualsiasi supporto, grazie di tutto in anticipo”. Grazie per il debito.
 
Dal rugby al baseball: gli altri buchi
Il ciclismo, comunque, è in buona compagnia. Numericamente la situazione più pesante è ancora quella della Federazione Sport equestri (Fise), l’unica ad essere stata commissariata per ragioni economiche nel 2013, dopo tre bilanci non approvati e poi rivelatisi falsi, tra crediti fittizi e il buco lasciato da alcune edizioni della manifestazione Piazza di Siena. Il deficit aveva toccato quota 9 milioni di euro, oggi è sceso a 2,7: di questo passo il risanamento potrebbe essere anticipato al 2018. Discorso simile per la Fisi (Sport invernali): seguendo il piano di rientro, il debito è faticosamente tornato sotto quota un milione.
Ben più attuali, invece, sono i guai del rugby. Già l’anno scorso il presidente Alfredo Gavazzi era stato indagato e assolto per una presunta irregolarità di bilancio. A distanza di un anno, però, anche il consuntivo 2016 si è chiuso con un passivo di 600 mila euro. Le due squadre italiane (Benetton e Zebre) che giocano nel campionato internazionale Pro 12 sono un pozzo senza fondo: da anni bruciano più di 10 milioni a stagione per perdere quasi tutte le partite e arrivare sistematicamente ultima e penultima, senza giovamenti per la nazionale, mentre l’attività di base viene trascurata. Così le riserve della FederRugby (il secondo sport più ricco d’Italia, col suo fatturato da 45 milioni) si sono prosciugate, il Coni ha rispedito al mittente il piano di rientro e ora la Fir ha persino problemi di liquidità. La vicenda è anche finita in Parlamento con un’interrogazione firmata da alcuni deputati Pd.
Molto complicata pure la situazione del baseball (Fibs), non proprio sport nazionale, eppure in grado di accumulare un debito di quasi un milione e mezzo, il più alto del panorama in proporzione ai numeri del movimento. Chiudono il quadro il pattinaggio a rotelle (Fisr), che sfiora il mezzo milione, e il triathlon, per la prima volta in deficit (-293 mila).
 
Nel 2016 persi 11 milioni di euro 
Questi sono solo i casi più gravi, di chi nei prossimi anni dovrà tagliare le attività per rientrare del debito. Ma di questo passo la lista è destinata ad allungarsi, visti tutti i bilanci in rosso: nel 2016, 23 Federazioni su 44 hanno chiuso col segno meno, per una perdita complessiva di 11,7 milioni di euro. La ragione è più o meno sempre la stessa: i costi vivi sono alti, le entrate proprie praticamente nulle. Ci si basa esclusivamente sui contributi statali, e non li si utilizza neppure con parsimonia. In più, l’obbligo di certificare i conti ha portato alla luce alcune “magagne” del passato.
La Federazione atletica leggera (Fidal) ha chiuso in passivo di 1,3 milioni, proprio per la svalutazione di vecchi crediti fittizi e immobili. Poi ci sono le spese: 22 milioni di euro per la preparazione nell’ultimo quadriennio, difficilmente giustificabili se si pensa alle zero medaglie tra Olimpiadi e Mondiali. Meno un milione anche per la Fitav, che paga l’eccesso opposto: per il Tiro a volo è stato un anno d’oro, con il trionfo olimpico (addirittura 5 podi a Rio 2016); ma vincere costa, e solo in premi ai medagliati se ne sono andati 240 mila euro, da sommare alle spese per una serie di competizioni e – perché no – alla “sobrie celebrazioni” per il 90° anniversario della Federazione. Il record negativo, però, spetta per distacco alla FederGolf (Fig), che in un solo bilancio è riuscito a bruciare 4,4 milioni di euro, praticamente le intere riserve federali accumulate in anni. Tutto per l’organizzazione della famosa Ryder Cup 2022, per cui riceverà anche 60 milioni di euro di contributi pubblici “extra” dal governo.
 
I “carrozzoni” federali
Il vero problema è che a tutte queste spese non necessariamente corrisponde un ritorno in risultati sportivi e crescita del movimento. Alla fine il saldo aggregato delle Fsn resta in pari solo grazie agli sport maggiori, che riescono a tenere i conti in ordine: scherma, pallavolo, tennis, pallacanestro, nuoto e il tanto bistrattato calcio. Negli ultimi anni la Figc di Carlo Tavecchio ha dovuto subire un taglio del 50% dei contributi pubblici, a favore dei cosiddetti “sporti minori”. A scorrere i bilanci, viene quantomeno il dubbio che potessero essere riutilizzati meglio.
Si fa fatica a credere che discipline di nicchia, come magari lo sci nautico o la danza, siano delle vere e proprie Federazioni sportive, affiliate al Coni, foraggiate dallo Stato. È ancora più incredibile che abbiano alle spalle organizzazioni mastodontiche: la Fipsas (pesca sportiva e attività subacquee), tanto per fare un esempio, conta oltre mille dirigenti federali e riceve più di un milione e mezzo di euro all’anno per le sue “risorse umane”. Le bocce (Fib) hanno speso circa un milione per trasferte e soggiorni. Il pentathlon (Fipm) ha sborsato 115 mila euro per la manutenzione dei servizi informativi (e rifarsi il sito web). Il badminton (Fiba) ha aumentato di 140 mila euro i costi di “personale e collaborazioni” per “rispondere alla crescente mole di lavoro”; 100 mila euro è costata solo la convocazione dell’assemblea nazionale della Federazione pesistica (Fipe). Infine il tennis tavolo (Fitet): quasi 700 mila euro per l’alto livello e la preparazione olimpica. Ovviamente alle Olimpiadi non si è neanche qualificato.