Il Messaggero, 12 novembre 2017
Il museo di Piranesi disperso per il mondo
Nella seconda metà del Settecento, non c’era grandtourista di tutt’Europa che non venisse a Roma: per farsi ammettere all’esclusivissimo Club del Dilettanti di Londra, bisognava dimostrare di esserci stati almeno una volta. E nessuno se ne partiva senza un’incisione di Giovanni Battista Piranesi (1720-1778): con un instancabile lavoro – agli esordi, un rame al giorno, 12 franchi a vedutina – offre una certa idea della città. Realizza più di mille incisioni: le ha catalogate, da ultimo, Luigi Ficacci. Paesaggi e panorami dell’Urbe; i suoi più importanti monumenti e le antichità, forse già con un gusto romantico per le rovine che anticipa l’Ottocento di John Ruskin; ma anche slanci di una immensa fantasia. Dalle Carceri d’invenzione, in cui gli studiosi scorgono pure similitudini con i disegni e le creazioni dei Surrealisti, o di Maurits Cornelis Escher, ai pastiches: assemblaggi di marmi e reperti, talora esistenti, e sovente immaginati.
L’ISPIRAZIONEMa Piranesi, che prima vive a via del Corso (di fronte a Palazzo Mancini Salviati, allora l’Accademia di Francia), e dal 1760 si trasferisce a Palazzo Tomati in Strada Felice, ora via Sistina, possedeva anche un museo: assai ricco e dovizioso, con centinaia di pezzi. I contemporanei e frequentatori dell’artista, magari il banchiere e antiquario Thomas Jenkins, spiegavano: «La sua casa è la cosa più curiosa mai vista; dice che non vuole vendere nessuna della sue antichità»; anche se poi lo farà, ed ancor più il figlio Francesco. Alla morte, nelle sei stanze del palazzo c’erano 262 pezzi o gruppi di pezzi; ma chissà quanti altri vi sono passati: lui se ne ispirava per le sue realizzazioni; incideva, e era pure un mercante. Nel negozio – atelier, insomma, ricreava l’antico.
Chiamava il museo Sagro Santo: come recitava un’iscrizione, peraltro venduta a un celebre collezionista, Charles Townley, nel 1768, a quattro scudi. Ha catalogato questo museo, ormai disperso nel mondo, Pierluigi Panza (Museo Piranesi, 580 pag., 45 euro, Skira), scovando dappertutto 270 antichità, in 43 musei o collezioni sulla faccia della Terra. Il più alto numero (almeno 103) è in Svezia: gran parte, al Museo di antichità Gustavo III di Stoccolma; seguono il British Museum con 29 pezzi; e, a Roma, il Pio – Clementino dei Vaticani, con 37 oggetti. Molti di questi sono stati pure incisi dal proprietario-architetto-artista. Spesso, sono dispersi: il famoso Vaso Stowe, alto un metro e venti, e eternato in una tavola di Piranesi, è a Los Angeles, al Lacma; ma la sua base, a San Pietroburgo, all’Ermitage.
Gli oggetti ci rinviano al gusto del tempo: quando Roma era la capitale d’Europa e del mondo. Ci si rilassava al Caffé degli Inglesi di piazza di Spagna, arredato in stile egizio proprio da Piranesi, o, sempre lì, a quello del Buon Gusto; si mangiava meglio che a Parigi: parola di un Rothschild; e già si servivano i panini cui Lord Sandwich aveva dato da poco il nome, e Piazza Navona veniva allagata le domeniche di agosto. Era l’epoca degli scavi, delle scoperte e dei trattati ma, nonostante i divieti già dal 1701, pure delle vendite all’estero. Frugando solo tra le licenze concesse e non badando alle vendite clandestine, se ne vanno, da metà Cinque a fine Settecento, 15.512 quadri; 4.168 sculture e marmi, più 190 spedizioni di materiali architettonici. Così nascono tutte le più grandi collezioni europee. E Piranesi colleziona, un po’ vende, e assai più assembla e incide.
COMPRAVENDITEVasi cinerari, crateri, urne, teste, busti, suppellettili, colonne istoriate, bassorilievi e frammenti: ecco ciò che conteneva il suo museo. Eterna anche quello che diverrà il più celebre oggetto dell’antichità, il Vaso Portland del I secolo a.C.: vetro a cammeo blu cobalto e decori in bianco. Era del primo mecenate di Caravaggio, il cardinal Del Monte che se ne vanta con Rubens e Cassiano del Pozzo; passa ai Barberini, ma donna Cornelia, «sfortunata alle carte», lo vende, ora è al British Museum di Londra. Come lo splendido Altare di Silvano del II sec., che era in bottega: compra Townley, che acquista almeno una trentina di pezzi, anche dei capitelli dal Pantheon.
E poi, una Cornucopia con testa di cinghiale finita a Stoccolma e stimata 400 zecchini (nel 1785, in Svezia arriva una nave, con 96 lotti Piranesi); 80 gessi della Colonna Traiana; la serie di piccoli reperti da Villa di Cassio, a Tivoli e via elencando. Rintracciati ora tutti all’estero: solo in Gran Bretagna 75 pezzi, con altri non più individuati; anche una Triremi di un metro e mezzo, che però era un’ideazione piranesiana. Oggetti, comunque, sempre magnifici. I diari documentano i quotidiani rapporti con i collezionisti, che andavano a trovarlo. I marmi non entravano tutti nella bottega: allineati nel tratto di via Sistina che arriva a Trinità dei Monti. Per saperne di più sui tempi, sugli artisti, sui mercanti di una Roma che era allora la città più ambita da qualunque visitatore.