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 2017  novembre 11 Sabato calendario

Scioperi, condannati al venerdì nero

C’è una legge di regolamentazione degli scioperi nei trasporti pubblici che non riesce a difendere gli interessi della collettività, che lascia i cittadini alla mercé di piccole sigle sindacali, in grado di gettare nel caos un’intera nazione con interruzioni più o meno selvagge del servizio. E ci sono un Parlamento e un governo che da quindici anni si rimpallano la responsabilità di rivedere quella legge, di stringere le sue maglie per evitare che uno sciopero legittimo si trasformi in un’arma puntata all’improvviso su chi lavora e non sa come muoversi, su chi ha scadenze inderogabili ed è costretto a eluderle, su chi sta male e rimane intrappolato nel traffico con l’autoambulanza. Con la consueta puntualità, lo sciopero, indetto ieri da sigle poco rappresentative ed esteso questa volta anche alla scuola e ad altri comparti pubblici, arriva di venerdì. Così, mentre molti cittadini restano a terra, qualche lavoratore, non proprio responsabile, riesce a programmare l’ambito ponte di finesettimana.Il problema è come evitare che una manciata di piccoli sindacati, dalle sigle impronunciabili, riesca a scatenare il caos. E qui sorge una prima obiezione: se quelle sigle sono poco rappresentative e non raccolgono grandi adesioni alla protesta, come fanno a bloccare un intero Paese? In realtà, per creare disservizi e dimostrare così la propria forza, non è necessario mandare concretamente in tilt la maggior parte dei trasporti (ieri molti treni circolavano tranquillamente). È sufficiente l’effetto annuncio, basta cioè far sapere alla gente, attraverso tv e giornali, che quel venerdì aerei, treni, metro e bus potrebbero non funzionare, e il caos è garantito, anche se le poi le adesioni allo sciopero risulteranno scarse. Molte persone, infatti, decideranno di prendere l’auto, altre rinvieranno appuntamenti, altre ancora chiederanno permessi per non andare al lavoro.C’è un modo per spezzare questo circuito perverso? Il sistema ci sarebbe, ma la politica nicchia: il governo aspetta un’iniziativa parlamentare, mentre il Parlamento tace. Così ieri, il presidente della commissione Lavoro del Senato, Maurizio Sacconi, ha rotto gli indugi presentando un emendamento alla legge di Bilancio, che introduce due semplici obblighi: ciascun lavoratore deve comunicare all’azienda qualche giorno prima la propria adesione allo sciopero, e il sindacato, se vuole revocare la protesta, deve informarne il Garante con largo anticipo. Con la prima misura si metterebbe in grado l’azienda dei trasporti di sapere esattamente quali servizi potrà o non potrà garantire e di metterne al corrente gli utenti. Con la seconda si eviterebbe invece un altro odioso atto di irresponsabilità cui ricorrono spesso molti piccoli sindacati, i quali prima indicono lo sciopero creando il solito effetto annuncio e poi lo revocano all’ultimo momento: lo stipendio si prende lo stesso, ma il caos è ugualmente assicurato.Difficile prevedere se queste due misure possano da sole metter fine ai venerdì selvaggi dei trasporti, ma in ogni caso sarebbero degli opportuni passi in avanti, da compiere urgentemente. Il governo è d’accordo? C’è una maggioranza in Parlamento? O assisteremo ancora una volta allo sterile coro sdegnato della politica che promette e non fa nulla? Ci risulta che quelle proposte siano arrivate sulle scrivanie dei ministri competenti già ai primi di settembre. Dove sono finite e perché Poletti e Delrio non si sono espressi?C’è poi un altro dubbio che meriterebbe una risposta, a prescindere dal destino dell’emendamento Sacconi. I sindacati più responsabili si sono mai domandati se sia possibile garantire il diritto allo sciopero senza interrompere un servizio così essenziale come il trasporto pubblico? La risposta, caldeggiata anni fa dal senatore del Pd, Pietro Ichino, c’è e si chiama “sciopero virtuale”: i dipendenti lavorano lo stesso e il monte salari di quel giorno va a finire in un fondo dove confluisce anche un prelevamento operato a danno dell’azienda, una penale pari al doppio o al triplo degli stipendi a cui rinunciano i lavoratori. Il fondo, gestito insieme da azienda e sindacati, andrebbe a finanziare opere di pubblica utilità e insieme una campagna di informazione sulle ragioni dello sciopero. Ovviamente si tratta di una proposta che non potrebbe essere calata dall’alto per legge, ma affidata all’autodisciplina sindacale. Sono pronte almeno Cgil, Cisl e Uil a sottoscriverla?