Corriere della Sera, 11 novembre 2017
Lunga vita alle stazioni di servizio
«La magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la velocità. Un’automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti... è più bella della Vittoria di Samotracia». Parte dal Manifesto del Futurismo di Marinetti il mito delle filling station, come le chiamano in America, le gradi stazioni di servizio costruite con il boom dei motori e poi passate a nuove vite: musei, gallerie, ristoranti, hotel, cinema o vivai. L’ultimo esempio è a Milano: l’iconica ex stazione Agip, abbandonata per anni in piazzale Accursio, è stata restaurata dallo studio dell’architetto Michele De Lucchi diventando «Garage Italia», un progetto di Lapo Elkann, direttore creativo, con all’interno un ristorante dello chef Carlo Cracco. «Un hub creativo dove personalizzare macchine, moto, aerei e barche seguendo la creatività, la passione e la bellezza in tutte le forme», rivela Lapo.
«Il tema della riconversione della roadside architecture è internazionale – spiega De Lucchi —. Nasce dalla corrente streamline basata sul concetto di velocità: forme aerodinamiche, fluide, avveniristiche, corrose dal vento. Infatti, la struttura di Garage Italia sembra spiccare il volo». L’edificio è stato oggetto di «un meticoloso intervento – continua —. Abbiamo faticato per riportare il colore originale sulla facciata e le due tettoie e abbiamo rivestito l’esterno con una vernice speciale che assorbe l’anidride carbonica. A perimetro delle ali sono state installate due file di neon riposizionate come negli anni Cinquanta. Sopra la linea del tetto, gli alti pennoni ricalcano il disegno di quelli originali: sono il supporto della nuova insegna che si staglia alta». Gli interni? «Sono caratterizzati dal blu navy delle pareti – risponde Carlo Borromeo, direttore dell’ufficio stile – e dalle divisioni interne realizzate con strutture industriali in ferro grezzo. La pavimentazione è in cemento nero. Gli arredi, su disegno, riprendono il gusto della fabbrica e sono arricchiti da raffinati dettagli costruttivi del mondo delle auto, delle barche e degli aerei, come i gradini delle scale ottenuti con un calco di pneumatici».
Dall’America sono partiti i primi appelli per la salvaguardia e la conservazione delle pompe di benzina e delle stazioni di servizio come patrimoni storici. Lo scrittore Albert Kerth in «A New Life for the Abandoned Service Station», del 1974, racconta di come abbiano contribuito alla leggenda della Route 66, l’autostrada che attraversa gli Usa da Chicago a Los Angeles. La struttura della Jack Colker Union 96 gas station su Crescent Drive a Beverly Hills è un esempio di avanguardia architettonica: il tetto è una vela proiettata verso il cielo illuminata di notte da Led. Dopo essere stata restaurata è diventata una galleria d’arte moderna. In Europa, gli esempi di tutela e riuso di gasoline station sono soprattutto al Nord. In Olanda, la Esso di Loenersloot, disegnata da Dudok, dopo il rémaquillage è diventata parte dell’Automobilmuseum di Raamsdonksweer. A Vught, quella Shell progettata da Meijlink, è una delle poche al mondo con l’abitazione del gestore. Ha cessato la sua attività nel 2000 ma è riconosciuta come monumento nazionale: oggi un luogo d’incontro con ristorante stellato. Come la stazione di servizio di Skovshoved, progettata da Arne Jacobsen nel 1938 a Copenaghen: in mosaico bianco, tettoia ergonomica e vista sul mare. Sulla strada tra Francoforte e Berlino, invece, c’è il gioiello di modernismo di Tamms: il distributore, criticato dal Reich per l’americanissima copertura piana a forma di boomerang, oggi ospita convegni. In Francia, a nord di Parigi, la vecchia stazione di Ornano è stata trasformata nel 2014 in una fattoria urbana incentrata sull’economia circolare. Uno spazio di svago, condivisione e buon cibo. «È lo spirito di questi luoghi: convivialità, incontri, darsi appuntamento. Le stazioni di servizio sono un punto d’arrivo e di partenza», riflette De Lucchi.