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 2017  novembre 11 Sabato calendario

Una sentenza trasforma gli autisti Uber in dipendenti

Due autisti di Uber in Gran Bretagna, James Farrar e Yaseen Aslam, sono stati riconosciuti come dipendenti della società da un tribunale britannico. Come tali avranno diritto a ferie pagate, limiti sull’orario lavorativo e a una paga minima, anche se calcolata sul tempo speso sull’applicazione. Secondo i giudici inglesi, gli autisti sono al lavoro non solo quando sono al volante, ma anche quando accedono allo strumento che li mette in contatto con i clienti. I magistrati sostengono il fatto «che agli autisti viene richiesto di accettare l’80% delle corse una volta effettuato l’accesso all’app», spiega Tom Elvidge, direttore generale di Uber Uk. Che però contesta: «Gli autisti che utilizzano Uber sanno che questo non è mai successo nel Regno Unito». Ed è proprio uno dei punti su cui la società incentrerà l’appello ( già annunciato) per evitare che la sentenza faccia da battistrada spingendo sia i 40 mila driver britannici che quelli degli altri Paesi a rivendicare i propri diritti. I segnali ci sono già tutti: il sindacato che ha sostenuto i due autisti in tribunale esulta, affermando che si tratta di una vittoria dei lavoratori nella cosiddetta «gig economy», dove spesso si assiste a sfruttamento della manodopera. 
Potrebbe succedere anche in Italia? Appare improbabile, fanno capire da Uber Italia, almeno per due motivi. Il primo riguarda la legislazione del lavoro inglese, che prevede un grado intermedio tra quello di employee (dipendente) e indipendent contractor, ovvero il worker, ed è proprio a questa categoria che i due autisti inglesi sostengono di appartenere. E poi nel nostro Paese sono solo un migliaio gli autisti Uber: per iscriversi devono avere la patente KB, un’autorizzazione come Ncc (noleggio con conducente), e l’iscrizione al ruolo nella Camera di commercio. In cambio cedono il 25% del guadagno e «possono scegliere se e quando effettueranno il servizio», come precisa Elvidge. Decidendo se essere on o off line, quindi disponibili o no alle corse, e potendo persino rifiutare le chiamate sgradite: anche se dopo una serie di «no» si viene convocati in sede per «chiarimenti».