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 2017  novembre 11 Sabato calendario

Brexit, Theresa May punta i piedi: «Nessuno ci fermerà. Il 29 marzo 2019 fuori dall’Europa»

LONDRA La Brexit sembra tornata in bilico. Tanto che Theresa May, per evitare imboscate, annuncia che metterà la data di uscita dall’Unione europea nero su bianco nel testo di legge in discussione sul ritiro dall’Ue: il 29 marzo del 2019, per la precisione alle undici di sera, la mezzanotte in Europa.
La scadenza era già nota. Londra ha consegnato a Bruxelles il 29 marzo scorso la lettera in cui invocava l’Articolo 50 dei Trattati comunitari, quello che regola la procedura di uscita dalla Ue di uno Stato membro: e i Trattati prevedono un tempo massimo di due anni per portare a termine la trattativa. Dunque a marzo 2019 la Gran Bretagna si troverà automaticamente fuori dall’Unione. 
Ma a Londra da qualche tempo ha cominciato a crescere di intensità il coro di quelli che pensano che sarebbe opportuno fare marcia indietro: soprattutto di fronte all’evidente danno che la Brexit procurerà all’economia britannica. E queste voci sono state amplificate dalla debolezza del governo May, che sembra essere ogni giorno sul punto di crollare come un castello di carte.
Ecco allora che la premier lancia una specie di polizza di assicurazione sulla Brexit: «Che nessuno dubiti della nostra determinazione o metta in questione la nostra risolutezza: la Brexit sta avvenendo», ha scritto ieri sul Daily Telegraph, annunciando che a pagina uno della legge sull’uscita dalla Ue ci saranno la data e l’ora dell’evento.
Il testo del provvedimento è gia passato in seconda lettura nell’aula di Westminster e ora sarà sottoposto al vaglio delle commissioni, dove potrebbe scatenarsi una corsa agli emendamenti da parte dei deputati filo-europei: per questo la May ha ammonito che «non tollereremo tentativi da nessuna parte di usare questo processo per provare a bloccare la volontà democratica del popolo britannico, cercando di rallentare o fermare la nostra partenza dall’Unione europea».
Ma le difficoltà non stanno soltanto a Londra. Ieri a Bruxelles si è conclusa la sesta tornata di colloqui sulla Brexit e il capo negoziatore europeo, Michel Barnier, ha lanciato un secco ultimatum: se entro due settimane Londra non specificherà la sua offerta riguardo al «conto del divorzio», a dicembre non sarà possibile avviare la fase due della trattativa: quella sul futuro rapporto tra Gran Bretagna e Unione europea. E a quel puntosi farebbe concreta la prospettiva di una Brexit catastrofica, senza nessun accordo-cuscinetto.

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LONDRA «Theresa May vuole incardinare la data della Brexit in un testo di legge per dare una impressione di inevitabilità. Ma le cose non stanno in questo modo»: a parlare ieri mattina di fonte a una platea selezionata di politici e giornalisti, a poca distanza dal palazzo di Westminster, è Lord Kerr, ex ambasciatore britannico a Bruxelles ma soprattutto segretario generale, fra il 2002 e il 2003, della Convenzione europea che redasse i Trattati comunitari. In pratica, la persona che ha materialmente scritto l’ormai famoso Articolo 50, quello invocato da Theresa May lo scorso 29 marzo per avviare la Brexit.

Per Lord Kerr non c’è nulla di inevitabile nell’uscita di Londra dalla Ue: a suo avviso, l’Articolo 50 può essere revocato, contrariamente a quanto afferma il governo britannico. «Non siamo obbligati a uscire solo perché la signora May ha spedito quella lettera a Bruxelles — spiega Lord Kerr —. Possiamo cambiare opinione in ogni momento».

Il governo, accusa il Lord, «dà l’impressione che il Rubicone sia stato varcato», ma «il dato non è tratto irrevocabilmente». E questo perché l’Articolo 50 esprime solo «l’intenzione di uscire. E le intenzioni possono cambiare».

Lord Kerr fa parte di uno schieramento sempre più robusto che non crede che la Brexit sia un destino irreversibile. Sono voci che appaiono nel dibattito sui giornali ma che riflettono anche una diplomazia sotterranea che è al lavoro da settimane. Lo aveva fatto trapelare poco tempo fa il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, quando aveva dichiarato che spettava a Londra scegliere tra «un buon accordo, nessun accordo o nessuna Brexit». 

In molti si erano stupiti che da Bruxelles venisse evocata la possibilità di un annullamento della «secessione» britannica, quando ormai i negoziati stanno andando avanti da mesi, seppure in maniera accidentata. Ma qualche giorno fa si è saputo di una missione semiclandestina in Europa guidata da Lord Adonis, stretto consigliere di Tony Blair, proprio per esplorare le alternative alla Brexit. E la regia dell’ex premier britannico si intravede dietro questi sforzi.

«C’è ancora il 50 per cento di possibilità che la Gran Bretagna resti nell’Unione europea», spiega Lord Adonis durante una riunione a porte chiuse nella sede della Commissione Ue a Londra. La sua tesi è che se di fronte alla prospettiva di un duro contraccolpo economico prevarrà la versione «soft» della Brexit, ossia il mantenimento dell’accesso al mercato unico, allora diventerà man mano evidente che la maniera migliore di preservare i benefici dell’Europa consiste proprio nel restare membri del club: e dunque si aprirà l’opportunità di invertire il corso della Brexit.

E’ chiaro a questo punto che alla possibilità «tecnica» di cambiare strada, invocata da Lord Kerr, occorre aggiungere una volontà politica: che avrebbe bisogno di un passaggio popolare, visto che la Brexit è stata decisa con un referendum. Già il sindaco di Londra Sadiq Khan aveva evocato lo scenario di una seconda consultazione. E questa eventualità non viene esclusa da un parlamentare come Chuka Umunna, una delle star della nuova generazione laburista.

«Se ci hanno venduto una Audi con tutti gli optional e poi scopriamo che si tratta di un catorcio senza nessuno degli accessori, siamo autorizzati a non comprarlo», spiega Umunna, per dire che i nuovi fatti sul terreno, e cioè la magra realtà della Brexit, consentono un cambiamento di opinione. Lui fa parte di uno schieramento parlamentare bipartisan, che include anche una pattuglia di conservatori guidati dalla battagliera Anna Soubry, decisi a non lasciare il campo ai fautori della Brexit. Ed è probabilmente a loro, e ai loro sostenitori fuori da Westminster, che Theresa May pensava quando ha deciso di incardinare in una legge la data di uscita dalla Ue.

Quello che manca al momento è la voglia dell’opinione pubblica di fare marcia indietro. Molti di coloro che hanno votato per restare nella Ue oggi pensano che la decisione sia presa e che bisogna applicarla. E secondo i sondaggi più recenti solo il 35 per cento invoca un nuovo referendum. La strada per fermare la Brexit resta in salita.