Il Messaggero, 11 novembre 2017
Il peso del conto economico spinge Theresa May verso il piano B sulla Brexit
BRUXELLES Di hard Brexit neppure a Londra si parla volentieri. Prima fra tutti Theresa May, che non si balocca più con l’alternativa niente accordo è meglio di un cattivo accordo. Ciononostante, la difficoltà del negoziato con la Ue ripropone l’interrogativo che sembrava messo nel cassetto: che cosa accadrebbe nel Regno Unito se non ci fosse un accordo? Per quanto ritenuto uno scenario improbabile, è un fatto che mezzo paese prepara alla luce del sole o segretamente i piani B’. Lo fa il business come lo fanno i centri di ricerca e le università. Lo fanno anche le grandi compagnie di trasporto, che temono il Grande Imbottigliamento negli scali portuali, ferroviari e aerei per le merci da sdoganare.
I RISCHI PER BRUXELLESLa hard Brexit, che significa uscita secca dal mercato unico, stop all’immenso vantaggio del libero scambio di beni, servizi e capitali, alla libera circolazione delle persone, è per Bruxelles uno dei rischi principali a medio termine per l’economia europea. La crescita del Regno Unito quest’anno e nel 2018 è a livelli italiani: 1,5% e 1,3% rispettivamente. I più bassi nella Ue. È vero che finora, negli oltre 500 giorni che ci separano dalla dichiarazione di divorzio, non si sono verificate le ipotesi più nere. Grazie alla sterlina deprezzata l’export aumenta, però ha pesato solo lo 0,3% sulla crescita del pil. Intanto le famiglie britanniche rallentano i consumi e raschiano nel barile dello scarso risparmio.
Il negoziatore Ue Michel Barnier ha dichiarato di preoccuparsi quando sente «il segretario al commercio americano Wilbur Ross invitare Londra a divergere dall’Europa per meglio convergere verso altri». Via dalla Ue c’è un mondo pronto ad accogliere il made in Uk.
Un interessante studio pubblicato dalla London School of Economics (elaborato da Steven Brakman, Harry Garretsen e Tristan Kohl) ha smontato questa illusione concludendo che «per il Regno Unico il commercio globale non può rimpiazzare il mercato unico, l’impatto negativo di Brexit sarebbe compensato solo marginalmente da un accordo bilaterale con gli Usa e anche in caso di accordi commerciali con tutti i paesi non Ue, il valore aggiunto delle esportazioni britanniche si ridurrebbe di oltre il 6%». Le esportazioni calerebbero del 18%.
Il presidente dell’Associazione dei produttori auto tedeschi Matthias Wissmann ricorda che «se il Regno Unito non trova un accordo commerciale con il resto della Ue ed è costretto a tornare alle regole dell’Organizzazione mondiale del commercio, gli esportatori di auto si troverebbero tariffe superiori al 10%». Il commercio con la Ue rappresenta il 12,5% del pil britannico, il commercio dei 27’ con il Regno Unito vale il 3% del pil Ue: è un dato che dà il senso delle proporzioni, tuttavia nessuno tra i Ventisette è indifferente ai rischi di una hard Brexit.
LE POSSIBILI PERDITEIn un paper riservato, ma pubblicato dalla stampa, preparato dal governo britannico emerge che una hard Brexit senza accesso al mercato unico costerebbe 80 miliardi di euro all’anno in mancate entrate da tassazione e che il prodotto lordo perderebbe il 9,5%.
Per il settore finanziario britannico non godere dei vantaggi del cosiddetto passaporto unico’, che permette di operare nel mercato europeo, sarebbe un disastro: secondo alcuni calcoli rischierebbe una perdita di 38 miliardi di sterline per mancata attività, 10 miliardi di sterline di entrate fiscali, almeno 70 mila posti di lavoro. Secondo il presidente della Bundesbank Veidmann, senza passaporto’ la posizione di Londra come centro finanziario sarebbe messa a repentaglio.