10 novembre 2017
APPUNTI SULLA BREXIT PER LA GAZZETTA
Bruxelles dà a Londra due settimane per decidere il conto di Brexit
Nicol Degli Innocenti, ilsole24ore.com 10/11 –
Ultimatum Ue a Londra: il Governo britannico ha due settimane di tempo per chiarire quanto sia disposto a pagare per saldare il «conto del divorzio». Lo ha detto oggi Michel Barnier, il negoziatore capo dell’Unione, al termine del sesto round di negoziati con la sua controparte britannica David Davis.«Questo è assolutamente vitale se vogliamo fare progressi in dicembre, - ha detto Barnier – si tratta di saldare i conti come si deve fare in ogni separazione». Serve ora una «interpretazione oggettiva» dell’impegno della premier Theresa May a rispettare gli impegni finanziari presi dalla Gran Bretagna e a non danneggiare alcun Paese Ue. La decisione di Londra deve essere chiara entro inizio dicembre per poter essere discussa al summit dei leader europei del 14 e 15 dicembre.
Il Governo britannico ha fretta di passare alla fase successiva dei negoziati per discutere dei rapporti commerciali post-Brexit, ma Barnier ha sottolineato oggi che questo non è possibile senza un impegno concreto a versare una cifra precisa e concordata. Davis si è limitato a dire che «entrambe le parti devono trovare una soluzione».
L’ultimatum di Barnier crea un ulteriore problema per la May, che oggi è stata accusata dall’architetto dell’articolo 50 di «trarre in inganno» gli elettori con la sua insistenza che la via verso Brexit è senza ritorno. John Kerr, ex ambasciatore britannico presso la Ue dal 1990 al 1995, che ha ideato e redatto l’articolo 50 dei Trattati che stabilisce le norme di uscita dall’Unione, ha dichiarato che «finchè i negoziati sul divorzio proseguono, le due parti sono ancora sposate e una riconciliazione è sempre possibile».
Kerr ha criticato la premier e i sostenitori di Brexit all’interno del Governo che continuano a dire che una volta invocato l’articolo 50 non è possibile tornare indietro. «Possiamo cambiare idea in qualsiasi momento - ha detto – gli elettori britannici hanno il diritto di saperlo e non devono essere tratti in inganno».
Per placare l’ala euroscettica del suo partito, la May ha dichiarato che non tollererà alcun tentativo del Parlamento di bloccare Brexit e che intende inserire la data di uscita del marzo 2019 in una legge ad hoc per non consentire possibilità di ripensamento.
In Parlamento si sta creando un’alleanza tra deputati filo-europei conservatori, laburisti e liberaldemocratici tesa a evitare una “hard Brexit” e a prolungare la fase di transizione, mentre diversi deputati parlano apertamente della possibilità di tornare indietro evitando Brexit del tutto.
= IL PUNTO = Brexit: ultimatum Barnier, due settimane sul conto =
(AGI) - Bruxelles, 10 nov. - Il capo-negoziatore dell’Unione Europea per la Brexit, Michel Barnier, ha lanciato un ultimatum al governo di Theresa May, dando due settimane per fare concessioni sul conto che il Regno Unito deve pagare per onorare i suoi impegni finanziari dopo la Brexit e minacciando di rinviare ancora una volta la decisione di passare alla seconda fase delle trattative sulle relazioni future. "La mia risposta e’ si’", si e’ limitato a dire Barnier durante una conferenza stampa al termine del sesto round negoziale, dopo che una giornalista gli aveva chiesto se aveva dato due settimane al Regno Unito sul conto della Brexit. Fare chiarezza sugli impegni finanziari che il Regno Unito deve onorare per la Brexit e’ "una condizione imperativa per arrivare a progressi sufficienti a dicembre", ha poi precisato Barnier. Nel Consiglio europeo del 14 e 15 dicembre, i capi di Stato e di governo dell’Ue a 27 saranno nuovamente chiamati a valutare se ci sono "progressi sufficienti" sull’accordo di divorzio tra l’Ue e il Regno Unito - in particolare diritti dei cittadini, Irlanda e conto della Brexit - per poi passare ai negoziati sulle relazioni future. "Non si tratta di risolvere tutto nel dettaglio, ma di fare progressi sinceri e reali", ha spiegato Barnier, dopo la discussione con il ministro britannico per la Brexit, David Davis. Se non ci saranno "progressi reali e sinceri" su diritti dei cittadini, Irlanda e impegni finanziari, "ritarderemo la discussione" sul periodo transitorio e l’accordo di libero scambio, ha avvertito Barnier. (AGI) Bxj/Mgm 101705 NOV 17 NNNN
AGI) - Bruxelles, 10 nov. - Le aspettative erano ai minimi per il sesto round di negoziati sulla Brexit: due giorni di discussioni tecniche tra la squadra diretta da Barnier e quella di Davis, per approfondimenti e chiarimenti, ma senza "annunci o decisioni", come ha spiegato il capo-negoziatore dell’Ue in conferenza stampa. Sulle tre questioni che sono oggetto delle trattative per l’accordo di divorzio - diritti dei cittadini, Irlanda e impegni finanziari - lo stallo prosegue, con le due parti arroccate dietro le loro linee rosse. Come fa da due mesi, Davis ha chiesto all’Ue "flessibilita’, immaginazione e spirito pragmatico". Barnier ha risposto che "sul piano politico e tecnico-finanziario dobbiamo avere progressi sufficienti" e "non ci siamo ancora". Sui diritti dei cittadini resta del "lavoro da fare" sui ricongiungimenti familiari, l’esportazione dei benefit della sicurezza sociale e il ruolo della Corte europea di giustizia. Sono gli stessi punti su cui il negoziato si era arenato nel quinto round di ottobre e, come lo scorso mese, Davis ha detto che il governo May intende "preservare la sovranita’ dei nostri tribunali" rifiutando la giurisdizione della Corte europea di giustizia. Sull’Irlanda, Davis ha bocciato l’idea avanzata dagli europei di permettere all’Irlanda del Nord di restare dentro il mercato interno e l’unione doganale. Tecnicamente vorrebbe dire introdurre delle dogane tra l’Irlanda del Nord e il resto del territorio britannico. Per il ministro britannico, la soluzione alla questione irlandese "non puo’ significare creare una frontiera dentro il Regno Unito". Ma e’ sul conto della Brexit, valutato tra i 60 e i 100 miliardi, che le posizioni sono ancora lontanissime. "Dobbiamo lavorare sulla traduzione precisa degli impegni presi a Firenze dal primo ministro Theresa May a Firenze", ha spiegato Barnier. Davis si e’ nuovamente rifiutato di mostrare le carte, limitandosi a ripetere la formula vaga usata da May nel suo discorso di Firenze in settembre: "i nostri partner europei non dovranno pagare di piu’ o ricevere di meno su cio’ che resta dell’attuale piano di bilancio come risultato della nostra decisione di uscire" dall’Ue. (AGI) Bxj/Mgm 101705 NOV 17 NNNN
(AGI) - Bruxelles, 10 nov. - La situazione politica interna nel Regno Unito non aiuta i negoziati. "C’e’ un problema di mancanza di leadership politica a Londra", spiega una fonte europea di alto livello. Theresa May e’ "troppo debole per fare le concessioni che sono necessarie", secondo la fonte. Dopo il mancato successo alle elezioni di giugno, il premier britannico e’ indebolito anche dalla serie di scandali che hanno costretto alcuni suoi ministri alle dimissioni. Il suo governo e’ ancora diviso sul tipo di Brexit da perseguire. A Bruxelles c’e’ chi parla di una possibile "sorpresa", come le dimissioni di May, nuove elezioni, un rinvio della data di uscita o un cambio di rotta sulla Brexit. Barnier ha detto di seguire "attentamente" l’evoluzione politica, ma "negoziamo con il governo del Regno Unito" in carica che "ci conferma di voler uscire dall’Unione europea, dal mercato interno e dall’unione doganale". Alcuni diplomatici europei sperano che l’ultimatum di Barnier sul conto della Brexit costringa May e Davis a mettere tutte le carte sul tavolo. Ma il tempo continua a correre. Sono passati 505 giorni dal referendum sulla Brexit e mancano 505 giorni al 29 marzo 2019, la data di uscita del Regno Unito. Calcolando i sei mesi necessari a ratificare l’accordo della Brexit, manca meno di un anno per trovare un compromesso sui termini del divorzio, il periodo transitorio e i contorni delle relazioni future. Secondo la fonte europea di alto livello, a questo punto "tutti gli scenari sono possibili". Compreso un mancato accordo sulla Brexit. (AGI) Bxj/Mgm 101705 NOV 17 NNNN
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BREXIT, COSA CAMBIA DAL 29 MARZO 2019 SE NON SI RAGGIUNGE L’ACCORDO – CORRIERE.IT 10/11 -
Cosa cambia con la Brexit per il commercio?
Theresa May ha annunciato la data ufficiale dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea: le ore 23 del 29 marzo 2019. Che cosa accadrebbe se, al termine dei negoziati, Londra e Bruxelles non trovassero un accordo? La fine del libero commercio tra Gran Bretagna e Unione Europea farebbe ricadere gli scambi sotto le regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto). Questo significherebbe il ritorno dei dazi, dal 10 per cento sulle esportazioni di auto fino al 40 per cento su alcuni prodotti agricoli. L’Italia sarebbe particolarmente colpita dati i volumi di esportazione nel settore agroalimentare. Alla Gran Bretagna potrebbe costare la perdita di 800 mila posti di lavoro e 6 punti percentuali del Prodotto interno lordo. Anche il Pil dei Paesi europei subirebbe una contrazione, seppure in misura più contenuta.
I prezzi: carni e vestiti, tutto più caro
In Gran Bretagna ci sarebbe un’impennata dei prezzi, anche a causa della probabile svalutazione della sterlina di almeno il 15 per cento (la moneta britannica ha già perso il 15 per cento del suo valore dopo il referendum del 2016). I dazi sul latte e i formaggi potrebbero toccare il 45 per cento, il prezzo della carne potrebbe salire del 37 per cento e quello di abbigliamento, scarpe, bevande e tabacco del 10 per cento. I supermercati Sainsbury’s hanno avvertito di possibili ritardi nell’approvvigionamento e del rischio di scaffali vuoti a causa dei nuovi controlli doganali. Le famiglie più povere dovranno spendere 500 sterline extra all’anno.
I cittadini europei: residenti Ue senza diritti
Lo status degli oltre tre milioni di europei residenti in Gran Bretagna (e del milione di britannici che vivono in Europa) tornerebbe di nuovo incerto.
Gli europei perderebbero il diritto di residenza permanente e non avrebbero più accesso al sistema sanitario britannico, che sarebbe tra l’altro messo in ginocchio dal probabile esodo di migliaia di medici e infermieri europei.
Alle frontiere ci sarebbero code per i controlli e potrebbe essere reintrodotto un sistema di visti. Potrebbero anche tornare in vigore le tariffe di roaming, abolite nella Ue, per le telefonate da e per la Gran Bretagna.
Le frontiere: il collasso delle dogane
Tutte le merci in entrata e in uscita dai porti britannici sarebbero sottoposte a ispezioni doganali. Attualmente un camion che arriva a Dover impiega due minuti per passare: il controllo di ciascun carico porterebbe al collasso le dogane (anche il porto di Calais non sarebbe in grado di far fronte alle nuove esigenze). Molte merci rimarrebbero bloccate alle frontiere. Un altro problema di confine sorgerebbe fra l’Irlanda e l’Ulster: attualmente 30 mila persone al giorno attraversano quella frontiera. Il ritorno a un confine rigido avrebbe serie ripercussioni pratiche, oltre a rinfocolare le tensioni politiche.
Il traffico aereo: niente aerei, rischiano i voli
Dopo il marzo 2019 i voli tra Gran Bretagna ed Europa potrebbero restare a terra. Il traffico aereo è supervisionato dall’Agenzia europea per la sicurezza aerea: ma non ci sono regole equivalenti sulla base del Wto. Se non si colma questo vuoto giuridico in tempo, i voli potrebbero essere sospesi. Il tour operator Thomas Cook ha già cambiato la sua policy, avvertendo che non si assume responsabilità per ritardi e cancellazioni causati da «chiusure dello spazio aereo» dopo il marzo 2019. Anche Ryanair ha lanciato un avvertimento simile. Già dall’anno prossimo le compagnie aeree potrebbero non garantire più le prenotazioni per il 2019.
I medicinali: i (tanti) farmaci non autorizzati
Serie conseguenze anche per il settore medico. L’uscita di Londra dall’Agenzia nucleare europea, l’Euratom, metterebbe a rischio la fornitura in Gran Bretagna degli isotopi necessari per esami e trattamenti radiologici. Le compagnie farmaceutiche hanno già avvertito che i rallentamenti alle frontiere potrebbero rappresentare una «grave minaccia» per l’approvvigionamento di medicinali. Le aziende produttrici di farmaci potrebbero essere costrette a lasciare la Gran Bretagna per evitare di perdere la licenza di esportare i loro prodotti in Europa. Allo stesso modo i farmaci europei non sarebbero più autorizzati in Gran Bretagna
• LASTAMPA.IT 10/11
La Gran Bretagna uscirà dall’Ue venerdì 29 marzo 2019, alle ore 23. È perentoria la premier conservatrice Theresa May che mette nero su bianco giorno e ora della Brexit con un emendamento alla Withdrawal Bill (o Repeal Bill), la legge quadro sul divorzio dall’Ue. Il primo ministro spiega la sua decisione oggi in un intervento sul Daily Telegraph in cui afferma che «non intende tollerare» alcun tentativo di bloccare l’uscita dall’Unione.
La premier May vuole con questa mossa mettere a tacere le voci, in particolare all’interno del suo partito conservatore, di quanti si oppongono al divorzio britannico dall’Ue. È lei stessa ad affermare che data e ora saranno inserite «nella prima pagina» della proposta di legge per mostrare quanto il governo sia determinato nel portare a termine il processo di addio al “club dei 28”.
«Nessuno dubiti della nostra determinazione o metta in discussione la nostra risolutezza, la Brexit sta avvenendo», ha affermato il primo ministro. La legge quadro dopo il via libera in prima lettura alla Camera dei Comuni è ora in seconda lettura ed in questa fase vengono presentati gli emendamenti. Come ricorda la Bbc, è stato minacciato nelle ultime settimane che sarebbero stati centinaia, in particolare quelli proposti dall’opposizione laburista che punta ad una “soft Brexit” tentando di modificare la Repeal Bill.
Anche su questo punto la premier è stata molto determinata sostenendo che l’esecutivo è pronto ad ascoltare le idee per migliorare il provvedimento ma non vuole permettere forme di ostruzionismo o tentativi di bloccare il processo democratico iniziato col referendum in favore dell’uscita dall’Ue.
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REPUBBLICA.IT 10/11
Non un minuto più tardi: la premier britannica Theresa May ha annunciato ora e data della Brexit, ovvero il giorno in cui la Gran Bretagna uscirà dall’Unione europea. Sarà un venerdì, quello del 29 marzo 2019, alle ore 23, quando a Bruxelles sarà mezzanotte. Lo ha fatto scrivere nero su bianco in un emendamento alla Withdrawal Bill (o Repeal Bill), la legge che dovrebbe dare le linee guida del divorzio dalla Ue.
«Non tollereremo alcun tentativo di bloccare la nostra uscita dall’Unione», spiega la leader conservatrice in un editoriale pubblicato dal Telegraph intitolato «Avrete la miglior Brexit possibile», dove insiste: «Brexit is happening», la Brexit sta accadendo.
La data, in realtà, non sorprende nessuno: già dopo il voto del giugno 2017, quando i conservatori avevano vinto, sì, ma di misura, May aveva indicato il 29 marzo come data di uscita: e lo aveva ripetuto anche durante il discorso di Firenze dello scorso 22 settembre. A sorprendere è piuttosto l’orario: tutti pensavano che sarebbe stata presa come riferimento la mezzanotte inglese, non certo quella di Bruxelles.
Ora più, ora meno, il messaggio chiaro sembra comunque essere quello che Brexit va avanti, a dispetto di chi quella legge sul divorzio dell’Europa vorrebbe affondarla. «Servono progressi entro le prossime due settimane per essere in grado di andare avanti, da dicembre in poi, a discutere la seconda fase, cioè le relazioni future tra Ue e Gran Bretagna». Questo invece il commento del capo negoziatore della Ue, il francese Michel Barnier, al termine del sesto round negoziale.
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THERESA MAY HA PERSO UN ALTRO MINISTRO
IL POST 9/11 –
Priti Patel, la ministra per lo Sviluppo internazionale del governo del Regno Unito, ha dato le dimissioni per avere mentito al primo ministro Theresa May su 14 incontri avuti privatamente con rappresentanti del governo israeliano, lobbisti e uomini di affari. È il secondo allontanamento in pochi giorni di un ministro dal governo May, dopo quello della settimana scorsa che ha interessato Michael Fallon, ministro della Difesa, che si è dovuto dimettere per comportamenti molesti nei confronti di una giornalista e di una parlamentare. La storia di Patel è stata seguita con grande attenzione nel Regno Unito perché è un altro momento di crisi per il governo di minoranza di Theresa May, impegnato su più fronti compreso quello delicato e molto controverso dell’uscita del paese dall’Unione Europea, la cosiddetta Brexit. Patel è stata sostituita oggi da Penny Mordaunt, già ministra del Welfare.
Ieri Priti Patel ha dovuto interrompere un viaggio in Uganda ed Etiopia per incontrare Theresa May a Downing Street, la residenza del primo ministro a Londra. L’incontro è avvenuto in serata ed è durato poco meno di sei minuti, al termine dei quali è stata confermata la notizia delle sue dimissioni. In una lettera formale a May, Patel ha ammesso di non avere raggiunto “gli alti standard che ci si aspetta da un ministro”. In una lettera di risposta, May ha definito corretta la decisione di Patel, ricordando che Regno Unito e Israele hanno buoni rapporti ma che questi devono essere mantenuti attraverso i canali ufficiali e formali. May ha anche ricordato che lunedì scorso aveva già ricevuto Patel, che le aveva fornito qualche spiegazione sui suoi incontri: “Ora che però sono emersi nuovi dettagli, è giusto che lei abbia deciso di dimettersi per aderire agli alti standard di trasparenza e apertura che ha sempre sostenuto”.
Nei giorni scorsi i media britannici avevano diffuso informazioni sugli incontri informali organizzati da Patel, in molti casi senza avere le autorizzazioni del governo o in assenza di resoconti formali al loro termine. Era per esempio emerso che ad agosto l’ex ministra avesse incontrato il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, senza avvisare May e in assenza di altri funzionari del governo. Ad altri incontri aveva invece partecipato Lord Polak, un lobbista del Partito Conservatore piuttosto conosciuto.
Patel aveva dato informazioni discordanti sui suoi incontri organizzati nell’estate in Israele. Al Guardian, per esempio, aveva spiegato di avere avvisato personalmente il ministro degli Esteri britannico, Boris Johnson, e di avere ricevuto alcune indicazioni da altri funzionari del suo ministero. Lunedì scorso Patel aveva però cambiato versione, dicendo che il ministero degli Esteri e Johnson non erano stati messi al corrente. Nello stesso giorno aveva ammesso che gli incontri erano stati una decina e che avevano coinvolto funzionari e affaristi israeliani.
Nell’incontro di lunedì, Patel aveva rassicurato May, dicendole di averle infine rivelato tutto. Il giorno dopo, però, sono emersi altri dettagli sui giornali britannici: Patel aveva chiesto ad alcuni funzionari del suo ministero di valutare la possibilità di finanziare iniziative umanitarie dell’esercito israeliano nei territori occupati delle alture del Golan, un’area contesa tra israeliani e siriani non riconosciuta dal governo britannico. Patel aveva avuto almeno due incontri privati e non autorizzati dal suo governo con rappresentanti governativi israeliani a settembre. Gli incontri erano però noti ai ministeri degli Esteri e dello Sviluppo internazionale, ma non è chiaro perché non avessero a loro volta avvisato l’ufficio di May.
Le nuove dimissioni hanno reso necessario un rimpasto di governo e potrebbero avere conseguenze su Brexit: Patel era una delle più convinte sostenitrici dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, ora potrebbe avere un ruolo più attivo nel promuovere Brexit dai banchi del Parlamento, dando voce alla parte del Partito Conservatore che la sostiene. Patel, la cui famiglia proviene dall’Uganda e ha origini asiatiche, era anche l’unica rappresentante di una minoranza etnica nel governo. May ha nominato come nuovo ministro Penny Mordaunt, indicata negli ultimi giorni come probabile subentrante. May aveva promesso di mantenere l’equilibrio di genere tra i suoi ministri, e gli orientamenti a favore di Brexit (Mordaunt ne è convinta sostenitrice).
Le dimissioni di Patel hanno inoltre riaperto il confronto all’interno del governo sull’opportunità di mantenere ministero degli Esteri e dello Sviluppo internazionale separati. Boris Johnson ha definito più volte un errore la separazione e sembra che in diversi casi avesse osteggiato il lavoro di Patel, ritenendo che fosse opportuno avere tutte le iniziative che riguardano gli esteri sotto un unico ministero.
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ANCHE IL GOVERNO BRITANNICO È AGITATO DA UNA STORIA DI COMPORTAMENTI MOLESTI – IL POST 3/11 –
Il governo del Regno Unito sembra essere in difficoltà dopo che il ministro della Difesa Michael Fallon è stato costretto a dimettersi, in seguito all’accusa di aver avuto in passato comportamenti inopportuni e molesti nei confronti di una giornalista e di una collega parlamentare. La prima ministra Theresa May, in particolare, è molto criticata per come ha gestito la vicenda: sottotono e senza esporsi in prima persona. Diversi parlamentari hanno anche criticato il fatto che le dimissioni di Fallon abbiano portato alla promozione di due uomini e di nessuna donna. Per May è l’ennesimo episodio in cui la sua leadership viene messa in dubbio e il suo governo attaccato, anche dagli stessi conservatori. Il Partito Conservatore appare in questi giorni particolarmente diviso e rissoso, anche su temi fondamentali per il futuro del paese, come la gestione di Brexit.
Fallon, che era ministro della Difesa dal 2014, era stato accusato di essersi comportato in modo inappropriato con la giornalista Julia Hartley-Brewer 15 anni fa. Durante un incontro le aveva messo più volte una mano sul ginocchio. Hartley-Brewer ha detto di non essere rimasta traumatizzata da quello che era successo e di non essersi mai sentita una vittima. Ha spiegato che, durante una cena, Fallon le aveva più volte toccato il ginocchio e che lei gli aveva spiegato che gli avrebbe “tirato un pugno in faccia” se non avesse smesso immediatamente. Fallon aveva smesso di importunarla e la storia era finita così.
Secondo un’altra accusa emersa ieri, però, sei anni fa Fallon avrebbe rivolto alcune frasi poco eleganti alla sua collega di governo Andrea Leadsom, che durante una riunione si sarebbe lamentata di avere le mani fredde. Fallon le avrebbe risposto di conoscere un posto dove poteva “tenerle al caldo”. Secondo Leadsom, Fallon è solito avere comportamenti maleducati nei confronti delle donne soprattutto dopo aver bevuto.
Da giorni nel Regno Unito i giornali riportano voci e sospetti di molestie e comportamenti inopportuni da parte dei parlamentari maschi nei confronti delle loro colleghe. Fallon è stato il primo ad essere indicato con nome e cognome e si è dimesso poco dopo che le accuse erano diventate circostanziate, ammettendo di aver avuto in passato comportamenti scorretti con le donne.
Tom McTague, corrispondente politico dal Regno Unito di Politico.eu, ha scritto che la gestione dello scandalo non è stata particolarmente brillante da parte di May e che molti ministri e leader conservatori sono rimasti molto delusi dal suo comportamento. Fino a questo momento May si è limitata a fare un discorso formale sulle dimissioni di Fallon di fronte alla sua residenza di Downing Street. Al suo posto è andata in televisione Ruth Davidson, leader dei conservatori scozzesi, che durante un seguito programma del mattino di BBC ha condannato la “cultura da spogliatoio” che esiste ancora nel Parlamento britannico.
Secondo la maggior parte dei commentatori, May non manca di senso pratico. Subito dopo lo scandalo il suo governo ha avviato le procedure per creare un sistema indipendente a cui i parlamentari possano denunciare eventuali abusi e molestie subite. Il suo problema, invece, è la difficoltà a creare legami emotivi con l’opinione pubblica e in particolare con le vittime, come avrebbe mostrato il fatto che per il momento ha preferito non comparire in televisione. Non è la prima volta che le viene rimproverata una certa “freddezza”. Dopo il disastro della Grenfell Tower, un incendio in un edificio alla periferia di Londra che causò 80 morti, May si recò sul posto, ma invece che parlare con famiglie e sopravvissuti ebbe un incontro a porte chiuse con i capi dei soccorritori.
Diversi esponenti del Partito Conservatore hanno anche criticato le nomine con cui May ha sostituito Fallon. Il primo ministro ha scelto il capogruppo conservatore alla Camera, Gavin Williamson, come sostituto di Fallon e ha nominato un altro deputato maschio al posto di Williamson. Un ex sostenitore di May ha detto a Politico.eu: «Le viene data una possibilità di fare un rimpasto di governo a causa di uno scandalo su abusi da parte dei maschi e lei che cosa fa? Promuove due maschi». A questo proposito, però, c’è anche un altro problema, che si intreccia con le accuse a May di mancanza di sensibilità. Williamson, come quasi tutti i capigruppo dei principali partiti, non è molto amato dai deputati: il capogruppo ha il compito di tenerli in ordine, assicurarsi che siano presenti alle votazioni e che lo facciano in maniera corretta. Diversi deputati hanno raccontato ai giornali in maniera anonima che è probabile che Williamson sia stato uno dei principali artefici della caduta di Fallon. Sarebbe stato lui a ricordare a May la cattiva reputazione dell’ex ministro della Difesa, ricordando che probabilmente nei prossimi giorni sarebbero arrivate altre accuse di molestie. Lo staff di May ha definito «ridicola» l’ipotesi che Williamson abbia complottato contro Fallon per ottenere il suo posto. Anche questo, però, è un segno di difficoltà e divisioni tra i conservatori.
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TEMPESTA PERFETTA SULLA VIA DELLA BREXIT –
LEONARDO MAISANO, IL SOLE 24 ORE 3/11
«È ora di ripulire le stalle». L’incoraggiamento a rimboccarsi le maniche e a spazzare Westminster e Downing Street dalla cultura sessista che impera arriva da una donna, gay, scozzese. Ruth Davidson è la star dell’ala liberal del Tory Party, quella, per intenderci, che la Brexit la sta subendo e alla Brexit dura s’oppone. La sortita lascia presagire che presto altre ammissioni di comportamenti oltre i limiti della decenza seguiranno a quella del ministro della Difesa Michael Fallon, reo confesso (per ora) di un peccato veniale, se paragonato al palmares degli scandali sessuali britannici. E dopo le ammissioni arriveranno – o dovrebbero arrivare - le dimissioni, spalancando l’uscio a un possibile, energico rimpasto rispetto alla semplice sostituzione di Michael Fallon.
La signora premier Theresa May, alla guida di un governo che si regge sul sostegno effimero ed economicamente dispendioso degli unionisti nordirlandesi, esce straordinariamente indebolita dalla nuova impennata della politica britannica avviata dal caso Weinstein. Michael Fallon era ministro d’esperienza e moderazione rispetto al radicalismo che spazza i conservatori. Il rimpasto futuro, se davvero seguirà a nuove, probabili puntate del sex scandal, ci dirà che vento tira in casa Tory. Se, cioè, prevarrà la fazione degli hard brexiters o quella dei soft remainers, se, paradossalmente, tassi di testosterone malamente impiegato potranno avere conseguenze sulle squadre che si disputano l’adesione britannica all’Europa.
L’esegesi e i destini del debole pensiero conservatore di questo scorcio di nuovo millennio, tuttavia, interessano solo in chiave anglo-europea. E le nubi si addensano ben oltre il cotè della politica interna, scossa dagli abusi di deputati e ministri.
La decisione della Banca d’Inghilterra di alzare i tassi dallo 0,25 allo 0,5% conferma che dopo dieci anni la festa sta finendo. Il lento rialzo del costo del danaro s’è rimesso in moto. Per un popolo uso a un astronomico indebitamento personale, per un’economia declinata dai consumi interni non è una buona notizia. Piccola cosa – 0,5% era il tasso pre-referendum -, ma che va nella direzione più temuta. L’economia del Regno Unito tiene, ma è in caduta rispetto alle previsioni, debole a fronte del rafforzamento americano ed europeo.
A muovere le curve dei grafici è sempre il negoziato sulla Brexit. Lento oltre misura, ingolfato dall’impasse sul saldo del divorzio che Londra vuole quantificare a fine trattativa e Bruxelles chiede fin d’ora, prologo indifferibile a qualsiasi futura intesa. Dalla risoluzione di questa querelle dipende anche una possibile intesa su regole transitorie, destinate ad attutire l’impatto dell’exit dalla Ue. Quelle regole che imprese e banche continuano a chiedere consapevoli che il tempo è ormai trascorso: entro il marzo 2019 (ottobre 2018 in realtà per il calendario tecnico delle ratifiche) non sarà possibile avere un accordo finale su tutto. Senza intese-ponte quindi la temuta “caduta nel precipizio” post-europeo appare inevitabile.
Gli occhi sono ora puntati su metà dicembre quando Theresa May spera che i Ventisette diano il via libera alla seconda fase negoziale e i Ventisette sperano che Theresa May stacchi l’atteso assegno. La cifra che la signora premier metterà – se davvero la metterà - farà riesplodere la lotta interna alle due fazioni brexiters e remainers Tory che si fronteggeranno, rafforzate o indebolite, dagli sviluppi dello scandalo a luci rosse appena cominciato.
È su questo scenario di straziante incertezza e sconcertante leggerezza per un passaggio storico quale è la Brexit per Londra che si consolida l’iniziativa del Labour, sempre più incline a toni politici soft. Solo così si può leggere il passaggio parlamentare che per iniziativa laburista imporrà al ministero per l’Uscita dalla Ue di rendere pubblici i 58 studi sull’impatto economico, settore per settore, della Brexit. Il governo nel timore di “andare sotto” ai Comuni non si è opposto con la determinazione minacciata e ora la verità di Downing Street sul prezzo della non Europa sarà resa nota. E la sveglia potrebbe suonare forte e chiara per tutti. Basterà per cancellare il miraggio della lotta per la ritrovata “indipendenza” dagli occhi di un popolo intero ? Dipenderà, una volta di più, dalla capacità e soprattutto dalla volontà dei media britannici di comunicare la verità, missione clamorosamente fallita nella campagna referendaria della primavera 2016.
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LUIGI IPPOLITO, CORRIERE DELLA SERA 4/11 –
L’«uomo-ragno» ha tessuto la sua tela fino ad arrivare al cuore del potere: anche Theresa May finirà ora per cadere sua preda? Quel che è certo è che la nomina di Gavin Williamson a ministro della Difesa ha sollevato onde alte nel partito conservatore e nello stesso governo britannico: la promozione del 41enne capogruppo parlamentare è stata definita «ridicola» e «spaventosa» dai suoi colleghi.
Il motivo è presto detto: Williamson è il tipo che tiene sulla scrivania, sotto una teca di vetro, una tarantola di nome Cronus che usa per terrorizzare i deputati che si affacciano nel suo ufficio e piegarli ai suoi voleri. Il suo compito infatti è garantire la disciplina di partito e finora ci è riuscito benissimo: tanto che lo hanno soprannominato «l’assassino dalla faccia di bambino». Al congresso conservatore ha tenuto un discorso che ha gelato la platea, tanto era infarcito di minacce pronunciate con un sorriso glaciale: a un certo punto, sottolineando che il suo lavoro richiede il ricorso al bastone e alla carota, ha sibilato: «Non credo molto nel bastone, ma è incredibile quello che si può ottenere con una carota ben appuntita».
Williamson è stato finora l’occhio e l’orecchio di Theresa May in Parlamento: e come tale è il depositario dei segreti più inconfessabili dei deputati, che lui usa per farli rigare dritto. O per promuovere la sua ambizione. Pare che sia stato lui ad andare dalla premier per dirle che nel passato di Michael Fallon, il ministro della Difesa, c’era ben altro che la mano morta appoggiata sul ginocchio di una giornalista: e che quindi bisognava dargli al più presto il benservito. Salvo poi suggerire se stesso per prenderne il posto.
A Westminster girano ormai le voci più inverificabili. E c’è chi è arrivato a domandarsi se non ci sia lo stesso Williamson dietro il famigerato dossier «Alta libidine», quella lista della vergogna con nomi ed elenco delle molestie sessuali perpetrate da una quarantina di deputati. Questa è probabilmente fantapolitica e complottismo spinto, ma è certo che il beneficiario immediato dello scandalo degli abusi è l’ambizioso capogruppo conservatore, che è riuscito a installarsi d’un colpo a fianco di Theresa May nel governo.
In questo modo Williamson si è posizionato per la successione alla premier. C’è chi pensa che lei abbia voluto promuoverlo proprio per preparare la propria uscita di scena al termine dei negoziati sulla Brexit e sbarrare così la strada a Boris Johnson. Ma lo spietato Cronus potrebbe decidere di non voler aspettare così a lungo.
Ormai la politica britannica assomiglia sempre di più a House of Cards, la serie tv sugli intrighi di Washington: dove il protagonista Frank Underwood, impersonato da Kevin Spacey, è proprio un ambizioso capogruppo parlamentare che orchestra uno scandalo per farsi nominare al governo e alla fine far fuori il presidente prendendone il posto.
Come se non bastasse, ieri è emerso che l’addebito principale contro Michael Fallon, che ne ha determinato la cacciata, è stata l’accusa di aver tenuto un comportamento inappropriato addirittura nei confronti di una collega di governo, Andrea Leadsom, la leader dei Comuni. Ma lei ha negato di aver fatto uscire la notizia: chi è stato allora a far filtrare l’indiscrezione? L’intrigo si infittisce.
Ormai a Westminster regna un clima di paura, ogni ora si attendono nuove rivelazioni. Sulla graticola c’è al momento Damian Green, il vicepremier oggetto di un’indagine: e ieri fonti di Downing Street evitavano di schierarsi a sua difesa. Le stesse fonti che non escludevano nuove inchieste su altri ministri, rifugiandosi nel rifiuto di «commentare in continuazione». È una crisi di cui non si vede la fine e che potrebbe trascinare con sé tutto il governo May e l’attuale gruppo dirigente conservatore.
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ERICA ORSINI, IL GIORNALE –
In novembre a Londra è già Natale, come sempre. Oxford Street ha acceso le luminarie alla fine di ottobre e i negozi sono stracolmi di decorazioni e oggetti regalo. Peccato che restino desolatamente vuoti, come nel periodo della crisi Lehman Brothers.