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 2017  novembre 10 Venerdì calendario

Rosneft rimette i debiti non solo al Venezuela. È la geopolitica del greggio

Dall’America Latina all’Asia passando per il Medio Oriente, non c’è scenario internazionale dove la Russia non stia usando il petrolio come arma geopolitica. Ha fatto di necessità virtù. Le sanzioni americane ed europee seguite tre anni fa all’autoannessione della Crimea hanno costretto la sua potente azienda petrolifera Rosneft a cercare nuovi giacimenti petroliferi per rimpinguare le sue riserve in Paesi spesso isolati dalla comunità internazionale come Iran, Egitto o Cina. Di contro è anche così che Mosca ha guadagnato peso e influenza a danno degli Stati Uniti. La scommessa principale è stata Caracas. In tre anni Mosca ha soccorso l’economia venezuelana con 10 miliardi di dollari. E mercoledì il ministro russo delle Finanze Anton Siluanov ha annunciato un accordo per la ristrutturazione del debito venezuelano per tre miliardi di dollari. D’altro canto, l’anno scorso, a garanzia di un prestito da un miliardo e mezzo di dollari alla Compagnia petrolifera statale venezuelana Petróleos de Venezuela (Pdvsa), Rosneft si è aggiudicata quasi la metà delle azioni, il 49,9 per cento, della sua filiale statunitense Citgo. Ora il Venezuela è la seconda fonte di greggio di Rosneft, dopo la Russia stessa, mentre Washington quest’estate ha imposto nuove sanzioni contro il governo di Nicolás Maduro che di fatto le impediscono di fare affari con Pdvsa o altre compagnie venezuelane. Per Mosca non mancano i rischi. I giacimenti petroliferi venezuelani sono datati e in rovina. E se un domani l’economia di Caracas andasse in default o il governo Maduro crollasse, Mosca si troverebbe in mano crediti inesigibili. Rosneft ha trovato uno sbocco anche in Asia dove lo scorso settembre la compagnia cinese Cefc ha versato oltre nove miliardi di dollari per il 14,6 percento delle sue azioni. Ma si muove soprattutto in Medio Oriente, mentre il Cremlino sfrutta il successo in Siria – dove ha salvato il governo di Bashar al-Assad – per accreditarsi presso i Paesi vicini come potenziale alleato. E un alleato di cui, a differenza degli Stati Uniti, ci si può fidare. Poche settimane dopo l’annunciata revoca da parte di Donald Trump dell’accordo nucleare con la Repubblica islamica, il leader del Cremlino Vladimir Putin è volato a Teheran. A margine della visita sono stati siglati vari accordi di cooperazione economica, tra cui una roadmap congiunta tra Rosneft e Nioc per progetti comuni da 30 miliardi di dollari. Mentre in Iraq, il fatto che Mosca avesse bocciato perlomeno formalmente il referendum per l’indipendenza del Kurdistan iracheno, allineandosi a Stati Uniti e Turchia, non ha impedito a Rosneft d’investire miliardi di dollari nella regione autonoma per garantirsi la creazione di una rete di gasdotti e il diritto di esplorare e sfruttare i suoi giacimenti petroliferi. Anche la ritrovata amicizia politica con l’Arabia Saudita è stata suggellata da accordi energetici. Un altro vuoto lasciato dagli Stati Uniti riempito da Mosca.