La Stampa, 10 novembre 2017
Le battaglie combattute dai robot
«I generali combattono sempre la guerra precedente». I militari sono i primi a riconoscere di fare spesso piani per il passato anziché per il futuro. Questo l’errore che il Capo di Stato Maggiore italiano, Claudio Graziano, neo-eletto Presidente del Comitato Militare della Nato vorrà evitare. La vertiginosa velocità delle trasformazioni tecnologiche lo farebbe pagare molto caro.
Le guerre stellari di George Lucas e Steven Spielberg sono fantascienza; intelligenza artificiale (Ai) e «computer quantistici» sono in arrivo – non su una galassia molto lontana, ma su campi di battaglia molto vicini. Sconvolgono e ribaltano rapporti di forza e capacità difensive.
Siamo pronti ad affrontarne le conseguenze? È un interrogativo che i ministri della Difesa della Nato, riuniti in questi giorni a Bruxelles, farebbero bene a porsi.
L’Alleanza Atlantica rimane l’unica vera garanzia di sicurezza dello spazio europeo. Ben venga la difesa europea. Non illudiamoci però che, per incanto, ci offra protezione credibile nei confronti di grandi potenze militari come la Russia o la Cina, o persino contro minacce di attori non statali. Il contributo europeo alla sconfitta del califfato in Siria e Iraq è stato secondario. Senza gli Usa Abu Bakr al-Baghadi sarebbe ancora a Raqqa.
Gli Stati Uniti sono all’avanguardia anche nelle nuove tecnologie non tanto e non solo per il bilancio del Pentagono, ma perché ricerca, sperimentazione e sviluppo sono condotti dalle società multinazionali americane che dominano la tecnologia digitale civile. È cambiato il paradigma: non è più la ricerca militare che traina le ricadute civili, ma l’innovazione commerciale che determina le capacità militari. Il digitale abbatte il confine fra militare a civile; tutto è doppio uso.
La rivoluzione copernicana inverte il rapporto investimento-costi unitari. L’investimento iniziale in R&D è alto sia per l’industria difesa che per Silicon Valley. Ma mentre il prodotto della prima mantiene elevati costi di produzione per unità (basti pensare all’F-35), la seconda li abbatte grazie alla quantità prodotte. Nella tecnologia digitale, «il volume vince»: i consumatori si contano in centinaia di milioni, mentre l’industria difesa guarda a pochi acquirenti, tutti Stati. Accessibile ad attori, statali e non, meno potenti e meno abbienti, il digitale è asimmetrico per natura. Se solo Lockheed Martin e Fincantieri possono sfornare carri armati e fregate, le nuove tecnologie mettono in circolazione l’equivalente digitale dei Kalashnikov e degli Ied.
Le guerre del futuro non sono certo i cinquemila carri del Patto di Varsavia ammassati alla frontiera dell’ex Ddr; non sono neanche i missili nordcoreani o i «foreign fighter» a briglia sciolta; neppure, da solo, un coordinato attacco informatico. A tutti questi ingredienti – cui ci stiamo preparando – si aggiungeranno l’uso sistematico dell’intelligenza artificiale e, più avanti, le capacità esponenziali dell’informatica quantistica.
La robotica è già in avanzata introduzione nei sistemi industriali, e nella vita quotidiana. L’Ai non arriva al pensiero articolato di HAL di «2001, Odissea nello Spazio». Ha però varcato la soglia del «machine learning» (un computer che insegna ad un altro computer) e sta sviluppando capacità specifiche ma sofisticate come tradurre un testo o guidare una macchina. Ci vuole poco a trasferirle in campo militare. L’Ai rende inoltre possibile la mobilitazione e il coordinamento, in tempo reale, di un numero enorme di mezzi, terrestri, navali, aerei, missilistici – e informatici – che operino individualmente ma convergano sul campo di battaglia con accuratezza e incisività senza precedenti. «Bastano buoni algoritmi e capacità di processarli in tempi rapidissimi, con processori che già esistono sul mercato».
La Nato è dietro a Usa, Cina, Russia – persino all’Ue che ha investito in Ai in campo civile. La Cina sta sviluppando missili a guida Ai. Alla società russa Kaspersky vengono attribuite offensive informatiche di cui si è occupata anche la cronaca italiana; Mosca sperimenta prototipi umanoidi in grado di sparare e veicoli terrestri senza personale a bordo (Ugv – unmanned ground vehicles). Inoltre l’Ai è alla portata di non Stati – quindi di terroristi. Isis, taleban, Houthi usano già i droni. Hanno solo bisogno di «supercervelli votati al male per programmare, ma si trovano; Phd ideologicizzati non mancano».
Il computer quantistico, che trasferisce nell’informatica la meccanica quantistica delle particelle atomiche e subatomiche, è allo stadio preliminare. Ma esiste. Ci stanno lavorando società, come Ibm, Microsoft, Google, o più specializzate come D-Wave Systems. Grazie ad una velocità di calcolo che fa del computer classico un pallottoliere («da un miliardo di anni a 100 secondi» – facciamo pure la tara ma rende l’idea), il quantum computing offre infinite possibilità – e benefici in campi come energia, agricoltura, salute. In campo militare, per fare un piccolo esempio, permette di rompere in tempo reale qualsiasi crittografia delle comunicazioni, facendo di qualsiasi Enigma un’aggirabile Maginot. Deviare un missile in volo? Rispedirlo al mittente? Non impensabile.
Uno studio, appena pubblicato, di Globsec Nato Adaptation Initiative, cui partecipa anche l’Ammiraglio Giampaolo Di Paola, predecessore, dieci anni fa, di Graziano alla Nato, configura i rischi del passaggio «dalla guerra ibrida all’iper-guerra via guerra informatica». La conclusione è semplice: ci si può difendere, ma bisogna pensarci per tempo. Il nuovo Presidente del Comitato Militare dovrà rifletterci.