Il Sole 24 Ore, 10 novembre 2017
Paesi del Golfo, dopo il blitz fuga di capitali verso l’estero
Il timore di finire nelle maglie della purga anticorruzione che ha portato nei giorni scorsi all’arresto di 11 principi, quattro ministri e decine di importanti uomini d’affari in Arabia Saudita sta spingendo diversi grandi investitori sauditi a liquidare investimenti e spostare capitali all’estero nel timore che possano essere sequestrati dalle autorità. La notizia è stata riportata ieri dalle principali agenzie finanziarie internazionali. Le fonti anonime citate da Bloomberg hanno spiegato che diversi importanti investitori sauditi stanno liquidando quote importanti del loro portafoglio nei vicini mercati del Golfo allo scopo di farli transitare in Europa o Stati Uniti sotto forma di cash o titoli facilmente liquidabili. Altri in Arabia Saudita hanno contattato banche e asset manager per capire come spostare all’estero quote del loro patrimonio. Alcuni gestori e private banker che operano nei vicini Emirati Arabi Uniti hanno raccontato alla Reuters che diversi facoltosi investitori sauditi in questi giorni hanno venduto consistenti pacchetti di azioni alla piazza di Riyah. L’impatto di queste vendite è stato tuttavia mitigato dall’intervento di alcuni fondi statali che, con i loro acquisti, hanno sostenuto gli indici. Tuttavia fino a ieri nelle Borse del Golfo si sono registrate vendite di azioni per 18 miliardi di dollari, secondo Bloomberg.
Le indiscrezioni sulle fughe di capitali sono indicative dell’elevato grado di incertezza che si respira in questi giorni in Arabia Saudita dopo l’ondata di arresti che ha terremotato l’elite politico finanziaria del Paese. Una mossa che si è accompagnata al congelamento di almeno 1.200 conti bancari riferiti a persone finite nelle indagini. In questo contesto e considerato l’alto grado di imprevedibilità che sta assumendo la maxi-purga non c’è da stupirsi della fuga di capitali per salvare il salvabile.
In uno sforzo per rassicurare gli investitori internazionali le autorità hanno fatto sapere che, ad essere interessati dal provvedimento, sono individui e non società.
Ieri Sheikh Saud al-Mojeb, l’alto funzionario governativo che segue le indagini, ha fatto sapere che in base alle indagini condotte nell’ultimo triennio, ci sarebbero state malversazioni legate ad attività di corruzione per «almeno 100 miliardi di dollari» nel corso degli ultimi decenni. Delle circa 208 persone finora arrestate sette sono state rilasciate. Le indagini intanto procedono spedite e iniziano a interessare anche i vicini Paesi del Golfo. Alcuni banchieri dei vicini Emirati Arabi Uniti hanno raccontato alla Reuters di aver ricevuto richieste dettagliate sulle posizioni di 19 clienti sauditi da parte della locale banca centrale. Una richiesta che, stando a quanto hanno riferito le fonti dell’agenzia, potrebbe preludere al congelamento dei fondi.
Resta in ogni caso alta l’incertezza nella comunità finanziaria per le conseguenze che potrebbe avere la maxi-purga anti corruzione che ha minato alle radici gli equilibri interni del primo produttore di petrolio al mondo. Equilibri rimasti sostanzialmente immutati da decenni. A interrogarsi su ciò che potrà succedere sono in molti sui mercati. Soprattutto perché il terremoto ai vertici del potere politico del Paese arriva alla vigilia di un appuntamento cruciale: la quotazione di Saudi Aramco. Secondo il principe Mohammed bin Salman il colosso petrolifero di Stato potrebbe valere duemila miliardi di dollari. Una cifra che farebbe del collocamento del 5% del capitale la più grande Ipo di tutti i tempi. C’è tuttavia chi dubita che, alla luce del terremoto politico di questi giorni, i sauditi potranno incassare i 100 miliardi di dollari sperati.
Intanto sta andando in scena la competizione per la piazza finanziaria che sarà scelta per quotare il gigante petrolifero. Sabato scorso è entrato in campo il presidente americano Donald Trump che in un tweet ha espressamente invitato i sauditi a scegliere Wall Street come piazza finanziaria dove quotarsi, ieri è stata la volta di Londra.
Il governo britannico ha siglato un’intesa con Saudi Aramco per fornire garanzie di credito sull’acquisto di beni e servizi di aziende britanniche per un controvalore di due miliardi di dollari. Anche se il ministro delle finanze britannico ha espressamente negato che tale intesa sia parte degli sforzi del governo di Sua Maestà per convincere la società a eleggere la City per la sua quotazione diversi osservatori hanno dato una lettura opposta all’accordo. Tra le altre piazze finanziarie potenzialmente interessate alla più grande Ipo di tutti i tempi ci sono anche Tokyo ed Hong Kong.