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 2017  novembre 09 Giovedì calendario

Alla scoperta di Gianluigi Quinzi, la grande promessa del tennis italiano

Allora non è utopia. Allora anche Gianluigi Quinzi può ambire a illuminare da stella il cielo delle Next Gen. E forse Milano può diventare la rampa di lancio verso terre di gloria inesplorate.
Gianluigi, torniamo indietro alla finale di Wimbledon juniores 2013: lei trionfa e una nuova epoca d’oro del tennis italiano sembra aprirsi. Invece dal giorno dopo cos’è successo?
«Che la pressione e le aspettative mi hanno fregato. Ero diventato quello che doveva vincere tutto, che tirava il dritto con lo stesso movimento di Nadal, e non ho saputo gestirlo. Per carattere, se le cose non vanno, tendo a tirarmi indietro».
Si spiegano così gli 11 cambi di allenatore in quattro anni?
«In parte sì. Alcune volte non mi sono proprio preso con il coach, altre volte loro si sono presentati male, altre volte è stata anche colpa mia che ho deciso troppo in fretta. I cambiamenti un po’ mi spaventano e se non portano risultati mi fanno perdere fiducia».
Però ora a Foligno, con Gorietti, sembra aver ritrovato serenità.
«È l’ambiente ideale, idee chiare e tanto lavoro. Soprattutto, nel gruppo non c’è invidia e allenarsi ogni giorno con Fabbiano e Travaglia (altri allievi del coach, ndr.) è uno stimolo, perché sono giocatori di livello. Da junior spesso mi è mancato il confronto, nelle Accademie sei tu il più forte e non hai il metro di paragone».
Ha conosciuto l’invidia?
«L’invidia magari no, ma la pressione è comunque una cattiva compagna: ti porta a fare cose che vanno oltre le tue possibilità del momento perché credi di essere già arrivato, perdi un po’ di umiltà. Ho girato per il mondo, ho parlato con tanti altri ragazzi: neppure in America, o in Australia per Kyrgios e Kokkinakis, c’era così tanta attesa. Mi sono tolto dai social, così resto tranquillo».
La partita con Rublev però ha dimostrato che Quinzi può stare a questo livello.
«So di essere sulla strada giusta, però lo ammetto: con Rublev non pensavo di vincere. In realtà non pensavo di vincere con nessuno, perciò mi sono detto “Gian, fai la tua partita”. Non è un problema tecnico, non mi sento inferiore agli altri 7, ma come intensità di gioco e resistenza atletica sono ancora lontano. Ma questo torneo può essere una svolta».
Qual è la differenza tra lei e gli altri avversari di Milano, che da junior ha battuto spesso?
«Nei punti importanti io faccio ancora cavolate e loro no».
Quinzi pensa all’immediato o ragiona in prospettiva?
«Voglio solo migliorare. Se fai le cose giuste, alla fine vinci le partite. O comunque non hai rimpianti. Certo, io ho imparato anche ad accettare le sconfitte, dovrebbe farlo anche l’ambiente dello sport: non è che se perdi sei scarso per forza, magari hai solo bisogno di tempo».
Lei se lo sta dando, il tempo?
«Mi pongo degli obiettivi realistici. Sarebbe importante, ad esempio, arrivare in fretta nella top 200 (ora è 306, ndr.) perché con quella classifica puoi pensare a una programmazione diversa. E non mi pesa immaginare di raggiungere il livello che voglio a 27/28 anni, ci sono tanti esempi di giocatori maturati tardi».
Lei ha cominciato a girare il mondo a 13 anni. Cosa si è portato dietro da quelle esperienze?
«Ho imparato a stare solo e a fare i conti con la mia solitudine. La famiglia, gli amici ti mancano, ovvio, ma non sono uno di quelli che a un certo punto deve cercarli per forza».
Cosa fa nel tempo libero?
«Mi piace cenare al ristorante, guardare film d’azione, seguire lo sci in tv. È il mio sport preferito dopo il tennis (la madre era sciatrice, ndr.)».
E al futuro cosa chiede?
«Di mettere nel tennis la stessa cattiveria che ho nelle sfide ai videogame di guerra contro mio fratello».