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 2017  novembre 08 Mercoledì calendario

«In barca con 11 maschi». Su Spacey è persecuzione

Gli storici stabiliranno se la peggiore epidemia della Storia sia stata l’influenza spagnola del 1918, la peste di Giustiniano del 542 d.c. o la celebre pandemia moralistoide del 2017, quando tutti scoprirono che i rapporti sessuali di uomini e animali (cioè di animali e basta) non erano regolati solo da un istinto di riproduzione ben ordinato, ma anche da un disordinato istinto di sopravvivenza e quindi da scambi tipo dare/avere, meretricio, promiscuità e un sacco di altra roba che gli umani avevano già tentato di dividere in due sole categorie: il legale e l’illegale. Il resto era farina del diavolo. 

Ed eccoci precipitati sul caso Kevin Spacey, ultima vittima di quella pandemia moralistoide che in pratica fa conoscere a miliardi di persone ciò che in precedenza conoscevano solo milioni di persone. L’ultimo titolo ieri era leggibile anche così: «Kevin Spacey su un yacht extralusso con undici ragazzi napoletani», che faceva anche ridere perché non si capisce se quel «napoletani» costituisse aggravante o esimente. In pratica, nella pausa della lavorazione di un film girato sulla Costiera Amalfitana, Spacey ha noleggiato uno yacht con rispettivamente 9 ragazzi, 2 massaggiatori e 1 invito alla discrezione. Pare che girasse nudo per la barca e che abbia offerto soldi a chi si faceva toccare, mentre non abbia offerto niente a chi non era interessato. I ragazzi erano maggiorenni e pure consapevoli così pare della ragione per cui un attore miliardario notoriamente gay avesse invitato dei giovani maschi su una barca in mezzo al mare; ma se anche qualcuno non ne fosse stato consapevole, comunque, non ha avuto problemi. 
IL FIGLIO DI DREYFUSS 
Ma questo non interessa, non siamo gli avvocati di Spacey e questo è solo un singolo episodio tra i tanti che l’effetto trascinamento ha fatto spuntare come falli. Sono troppi per citarli. Spicca, senz’altro, il caso del figlio dell’attore Richard Dreyfuss che ha denunciato: «Spacey mi ha toccato davanti a mio padre», nel senso che nel 2008 Spacey invitò lui e suo padre nel suo appartamento londinese, per leggere un copione, e mentre il padre «era così preso dalla lettura che non si è accorto di nulla», Spacey provò ad allungare le mani. Una cosa, vista da qui, da raccontarla al padre in ascensore e farsi quattro risate: ma, vista da qui, evidentemente non abbiamo capito il dramma, tanto che il ragazzo ha scritto, solo ora, dopo una vita: «Non avevo mai pensato che parlarne sarebbe stato possibile...»; e il padre, Richard Dreyfuss, dopo aver elogiato il «coraggio» del figlio 9 anni dopo: «Amo mio figlio e oggi sono così orgoglioso di lui». 
Impossibile non citare anche l’intervista al Daily Mail (probabilmente prezzolata) concessa dal fratello maggiore di Spacey, un autista dell’Idaho che ogni tanto lavorava da sosia di Rod Steward: lo schema vuole che i due fratelli avessero per padre un nazista (proprio iscritto al Nazy Party) che violentò per anni uno di loro: Kevin? No, solo lui, l’altro, il sosia di Rod Steward. Ecco perché Kevin decise di fare l’attore, spiega il fratello al Daily: per cercare rifugio in una realtà fittizia, alternativa, diversa da quella orribile del suo piccolo mondo reale. Ed ecco perché lui, l’autista, ebbe invece «tre matrimoni falliti come conseguenza di quello che avevo subito». Nota: tanto valeva reagire diventando uno degli attori più pagati del mondo, anziché fare l’autista nell’Idaho. 
Dopodiché molte altre cuuse sono più sfumate: un ex assistente di produzione ha affermato che l’attore lo aggredì sessualmente, altri componenti della troupe hanno parlato di comportamenti «predatori» sul set, tutte piaghe che ora finalmente si può avere il coraggio di raccontare. Anche se alla fine resta una domanda che è fondamentale comunque la si pensi: Kevin Spacey ha commesso reati o no? Risposta ufficiale: boh. Di minorenne c’era soltanto quello da cui è partito lo scandalo (ora ci arriviamo) e per il resto pare che Scotland Yard stia indagando su un 23enne che, nell’ordine: andò volontariamente a casa di Spacey perché cercava un aiuto per la sua carriera; volontariamente bevve alcolici; volontariamente fumò marjuana; forse involontariamente si addormentò; e al risveglio si ritrovò Spacey volontariamente nudo, che faceva roteare l’affare. Non è neppure chiaro come sia finita. 
SOCIAL NETWORK 
Ma poi c’è l’episodio da cui tutto è partito, che abbiamo studiato nel dettaglio per proporvene una sintesi massima: è l’unico che valga una riflessione, a nostro dire. Allora. Mentre impazza il caso Weinstein, un attore scrive su un social network che, quando aveva quattordici anni e lavorava a Broadway, alla fine di una festa tenuta nella sua stanza (del 14enne) Spacey ci provò con lui. Spacey, di norma riservatissimo, ha risposto e si è scusato eventualmente per l’accaduto, anche se ha detto di non ricordare i dettagli perché sono passati trent’anni ed era ubriaco. Nello stesso messaggio, però, Spacey ammette che forse deve affrontare con più trasparenza certi aspetti della sua vita, e insomma ha ammesso di essere omosessuale. In sostanza ha voluto evitare che da quell’episodio partisse una probabile campagna pestilenziale per scovare una volta per tutte lo Spacey gay: allora l’ha detto lui direttamente, anche perché nel suo ambiente lo sapevano tutti. Ma i giustizieri della rete e i gay professionisti non gliel’hanno perdonata. Qui non si parla di abusi e violenze e stupri improbabili, cioè non è il già discutibile caso Weinstein: i primi a non perdonare Spacey, tuttavia, sono stati gli orgogliosi cavalieri della comunità gay, intolleranti di fronte all’apparente (secondo loro) tentativo di unire un’ammissione di colpa e un dichiararsi finalmente gay. Un noto esponente statunitense della comunità frocia infatti gli ha scritto: «La tua adesione alla comunità a questo punto è negata». 
SCELTA INDIVIDUALE 
Come se quella di Spacey non fosse stata una scelta anzitutto individuale, come se avesse cercato solo il riconoscimento della sottocultura frocia, come se avesse voluto volontariamente far associare il suo approccio sessuale a un minorenne (comunque scafato, già attore, non certo un bambino) all’intrinseca natura dell’essere omosessuali. Come se Spacey, in pratica, fosse scemo. Invece Kevin Spacey personaggio che non avrebbe faticato a trovare difensori eccellenti ha fatto altro, a ben vedere. Ha immediatamente chiesto scusa per qualcosa che ha detto di non ricordare neppure; ha comunque dato credito al suo accusatore e si è dispiaciuto per lui; se n’è altamente fottuto di qualsiasi comunità o sottocultura gay; ma soprattutto, per non regalare al mortifero virus della pandemia l’incarico di setacciargli la vita per poi «scoprire», tu guarda, che fosse gay, e associarlo perciò fisiologicamente al molestare minorenni, ha preferito separare le due cose, pur sapendo che in maggioranza non avrebbero capito. Ma è normale: la maggioranza non capisce mai. La maggioranza ascolta Asia Argento. Dopodiché, in Occidente, ci sono le leggi e i regolamenti. Kevin Spacey potrà risultare colpevole oppure no: non era il centro di questo articolo.