Libero, 8 novembre 2017
Fiume vuole tornare (mezza) italiana
Sarebbe un piccolo tributo agli almeno 700 fiumani italiani uccisi nelle foibe dai comunisti slavi perché accusati di essere filo-fascisti; sarebbe un omaggio simbolico ai circa 30mila fiumani di lingua italiana che dovettero lasciare la città tra 1946 e 1954 in seguito all’avvento del regime di Tito; e sarebbe un risarcimento minimo per quanti dovettero assistere in città a una feroce damnatio memoriae con la distruzione di tutte le insegne di vie, piazze e scuole in lingua italiana.
C’è pertanto da compiacersi per la proposta della Lista per Fiume, partito della città del Quarnero, di reintrodurre il bilinguismo visivo croato-italiano in tutte le targhe della città. Come ha raccontato Il Piccolo di Trieste, l’intenzione è «riparare un torto, un’ingiustizia verso la componente italiana di Fiume, presente da sempre nel tessuto sociale delal città quarnerina» e dunque di compiere «un atto di civiltà e di cultura». L’iniziativa, sostenuta dalla Comunità degli Italiani fiumana, pare trovare consensi trasversali, dal vicepresidente del Parlamento croato Furio Radin all’eurodeputato istriano Ivan Nino Jakovcic, fino al sindaco socialdemocratico di Fiume, Vojko Obersnel, il quale pone semmai obiezioni non di di natura culturale o politica ma economica. A suo dire, la creazione di targhe in doppia lingua costerebbe troppo, circa 130mila euro... Beh, pare poca cosa in confronto ai danni, morali e materiali, subiti in passato dagli esuli italiani. Altri sostengono invece che il bilinguismo dovrebbe valere solo per le insegne del centro storico di Fiume e non per «i rioni periferici e i sobborghi dove potrebbe incontrare l’opposizione della popolazione locale», o che va bene tradurre tutto in doppia lingua, ma non il nome della città, ponendo ad esempio una tabella con la scritta “Rijeka-Fiume” all’ingresso...
E invece la piena restituzione della città alla sua natura bilingue che ora avrà bisogno dell’approvazione del consiglio municipale di Fiume suona come un atto doveroso almeno per tre ragioni. In prima istanza, per una motivazione storica. L’italianità di Fiume è attestata non soltanto dalla sua appartenenza al Regno d’Italia per un ventennio nel ’900, dal 1924 quando il Trattato di Roma ne sancì l’annessione alla Penisola al 1945 quando le truppe titine fecero irruzione in città. La sua italianità si lega a un uso della lingua italiana che risale a metà ’400 allorché, come conferma gli archivi, in carte notarili e documenti della pubblica amministrazione veniva utilizzato il volgare italiano «per la migliore comprensione del popolo».
Una storia secolare brutalmente spezzata prima il 10 febbraio 1947, giorno in cui il Trattato di Parigi formalizzò la definitiva cessione di Fiume alla Jugoslavia; e poi ancora nell’ottobre 1953 quando da parte slava, dopo l’annessione geografica e politica, si mise in atto l’annessione linguistica con la forzata rimozione di ogni traccia di italianità dalle targhe presenti su strade, monumenti e luoghi pubblici. Un modo per togliere la parola e costringere al silenzio l’ancora numerosa comunità italiana. Privandola così di anima e identità. E spezzando il filo della memoria con le generazioni precedenti e un patrimonio culturale ereditato.
Ma il ripristino del bilinguismo visivo vuole essere anche uno strumento pragmatico per favorire oggi la convivenza pacifica in città tra la prevalente componente croata e la piccola comunità di lingua madre italiana, che conta poco più di 7.000 persone su una popolazione di 175mila abitanti; un tentativo di dare agli italofoni di Fiume, in quanto minoranza, tutti gli strumenti per essere inseriti nella vita cittadina, e non sentirsi ancora discriminati, a distanza di oltre 70 anni dall’occupazione slava, e a ideologie del Novecento fortunatamente sepolte.
Da ultimo, il multilinguismo della città sarebbe un riconoscimento allo spirito stesso della città, non solo crocevia mitteleuropeo durante l’impero asburgico, ma anche primo esempio novecentesco di Stato libero e libertario, di democrazia allargata, modello ante litteram del mito dell’immaginazione al potere. Dopo l’impresa dannunziana, Fiume divenne luogo dove non contavano le distinzioni di razza, di lingua o di classe, città aperta dove vigeva la libertà di espressione e di stampa, sintesi di ideali utopici che volevano liberare i cittadini dalle costrizioni della Nazione, dello Stato e del Ceto. Terra di nessuno e perciò di tutti. Restituirle un doppio nome sarebbe un modo per riconoscerle questa identità sfaccettata e per liberare Fiume dagli argini in cui vogliono costringerla questa o quella fazione.