la Repubblica, 9 novembre 2017
La partita di Pippi e Pinocchio le icone raccontano due paesi
Assieme agli Abba, a Greta Garbo e al signor Nobel, il sito insvezia.com propone, tra le personalità svedesi da conoscersi senza indugio, Astrid Lindgren: la scrittrice che nel 1945 pubblicò Pippi Calzelunghe. Per trovare, nella tradizione favolistica italiana, un personaggio così famoso nel mondo, bisogna camminare all’indietro negli anni, arrivare a Pescia, entrare in Collodi, incontrare Pinocchio.
La stesura di Pinocchio è strana, la racconta molto bene Alberto Asor Rosa: la prima versione, quella pubblicata nel 1881 a puntate, sul Giornale dei bam- bini, terminava con l’im- piccagione di Pinocchio. Morte del burattino, fine. Fu solo per insistenza dell’editore, che intanto aveva trovato, lui sì, le monete d’oro, che la storia continua fino a dove la conosciamo, con la metamorfosi in bambino.
Pinocchio è un libro post unitario terrificante, che molti bambini hanno sopportato solo nella versione edulcorata disneyana e altri fanciulli, complici genitori sessantottini, hanno potuto evitarsi. È un capolavoro delle Lettere italiane, ma questo si riesce ad apprezzare, verrebbe da dire, solo da grandi, cioè solo quando lo si storicizza e, tranquillizzati che gli effetti di una lettura così sadica non ricadranno mai su di noi e sui nostri figli, ci si appresti a farne un discorso filologico. Suzanne Stewart-Steinberg ci ha scritto una bibbia: “L’effetto pinocchio” (Utet), indicando come la sua influenza abbia cambiato, e rappresenti, l’Italia fino alla marcia su Roma. E beata lei che lo fa da oltreoceano, da una distanza geografica di sicurezza: probabilmente non le si accappona la pelle al solo intuire le note della colonna sonora di Fiorenzo Carpi. Tatà-tatà- tatatatatatatatatatà. Anche quella: un capolavoro che evoca scenari agghiaccianti. Eppure qualcosa di quella identificazione deve persistere ben oltre il fascismo e le due guerre, se nel 1980 Pinocchio viene scelto come simbolo degli europei di calcio, e così per i mondiali di ciclismo del 2013 in Toscana.
Nella memoria collettiva c’è una identificazione a-storica che sussiste, là dove la Svezia si identifica, prima ancora che in Pippi Calzelunghe, nella sua mamma: Astrid Lindgren. Una signora che rimase incinta a 18 anni e, invece di fare un matrimonio riparatore, andò a partorire a Copenaghen nell’unico ospedale scandinavo in cui non era necessario dichiarare il padre del nascituro. Era il 1926. A Stoccolma lavorò come segretaria finché si sposò ed ebbe una seconda figlia: proprio per lei fu inventata la storia di Pippi Calzelunghe, un giorno che era a letto malata. Che Pippi fosse rivoluzionaria, quindi, si scoprì solo con le critiche e le censure: come tutte le persone libere, la Lindgren trovava il suo personaggio normale. Pippi ha l’anarchia della sperimentazione: beve pozioni per non crescere eppure deve autogestirsi subito da sola, perché il papà è pirata. Rivendica l’assenza genitoriale, quando le chiedono come fa a non avere paura la notte, lei risponde che si canta la ninna nanna con tale impeto che subito si convince che val la pena di dormire. Pippi Calzelunghe è indipendente economicamente: è una ereditiera e ha una borsa piena d’oro con cui può permettersi tutto: anche di essere generosa con gli amici. È carismatica e ottiene la leadership incondizionata in qualunque situazione e in qualunque cricca si trovi, e ha una spaventosa forza fisica. Lei è quella che solleva i cavalli, fa scappare i bulli e i ladri. A Pippi non interessa assolutamente il suo aspetto fisico, veste come viene, lega i capelli alla men peggio e ama le sue lentiggini, e quando cucina fa nulla se le frittelle si attaccano al soffitto.
Non ha la mamma, come Pinocchio, a cui però poi muore anche la fatina, oltre alla quasi morte di Geppetto nel ventre della balena. È lui il più amato dagli italiani: il burattino figlio di falegname Geppetto come falegname fu Giuseppe (e come Cristo in croce fatto di carne e legno), con i piedi incendiati, impiccato, con le orecchie da asino, derubato dal gatto e dalla volpe, a patire il freddo nella misera campagna toscana della fine del secolo, portato a scuola dai gendarmi nell’irrisione generale, rapito e costretto a lavorare da Mangiafuoco. Non è poco.