La Stampa, 9 novembre 2017
La pasta ripiena è geometria gastronomica
Quando gli estremi di una linea curva si congiungono a definire una figura chiusa, il mondo cambia forma e si divide in esterno e interno, si trasforma e diviene diverso da ciò che era e sembrava. Il negativo della sfoglia e il positivo della farcia si neutralizzano e si moltiplicano in una geometria che ha bisogno dell’insieme vuoto per stabilire una relazione tra i due mondi identici all’interno del fagotto. Si tratta di geometria gastronomica. Stiamo parlando di pasta ripiena. La tagliatella al ragù d’arrosto è altro, anche e soprattutto all’assaggio, dal raviolo modellato con le stese carni residue del banchetto. E i maltagliati al sugo di mortadella, prosciutto e parmigiano, non competono con i tortellini di famiglia, pur preparati con i medesimi ingredienti. Ma, a proposito di operazioni, i tortelli di zucca appoggiati in una fondina sono degli insiemi distinti, senza punti di contatto, perché l’intersezione tra due ripieni, che condividono cucurbitacea e mostarda, funziona in matematica ma non nel palato. Necessitano, per interagire, di un territorio altro, vuoto, la salsa. Che sia vaporoso burro spumeggiante, trito di cosce di rana, brodo di pesce di lago o crema di cavolo riccio, il liquido mediatore unisce, al morso, due elementi altrimenti separati. Questo triplo livello di lettura: ripieno, sfoglia e condimento, è divino. Quindi, se non vuol far peccato, nessun cuoco, osi aprire, dividere e destrutturare, ciò che la tradizione ha racchiuso e maritato.
federicofrancescoferrero.com